Giardini Di Mirò Good Luck

Giardini Di Miro Good Luck Recensione

L’esordio “Rise and fall of academic drifting” è datato 2001. Un sacco di tempo fa. Ma fa piacere parlare ancora di Giardini di Mirò. Perché sono ancora tra noi con merito, non sono cavalli stanchi con paraocchi e corsa decelerata. Intanto sono passati cinque anni dall’ultimo disco in studio (“Dividing Opinions”), un periodo di tempo inframmezzato dalla sonorizzazione (e relativo disco) de “Il fuoco”, che era stato quasi un ritorno al passato post rock, anche se già all’epoca si erano riusciti a smarcare dall’etichetta di Mogwai made in Italy, che volente o nolente gli si era appiccicata addosso. Se ne “Il fuoco” erano passati ad una saggia descrittività dell’ambiente sonoro più vicino a gente come Explosions in the Sky, nel precedente “Dividing Opinions” avevano cercato la più netta e decisa svolta dopo i primi due dischi con un suono più notturno-alt pop-shoegaze.

Nato nella campagna emiliana di Correggio (vicino a dove i CCCP registrarono “Epica Etica Etnica Pathos”) , “Good Luck” può essere visto tranquillamente come continuum di sonorità nate con “Dividing Opinions”. Appena prima nel quintetto c’è stato un avvicendamento dietro i tamburi, dove ora troviamo Andrea Mancin che porta alla causa un drumming pulsante e variegato.

Ora i Giardini sono questo: delicati e pieni di inquietudine con un loro inconfondibile suono. Negli otto brani tappeti di arpeggi creano immagini palpabili, tra sussurri e suoni via via più corposi. Il risultato finale è un disco solido, equilibrato, anche dalle tinte grigio-oscure, che cerca un flusso musicale coinvolgente ma che rimane sempre profondo ed espressivo.

Luca Freddi

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