A volte ritornano, altroché.
Gli Impossibili sono stati una band importante per chi, ragazzino, ha iniziato ad accostarsi al punk negli anni Novanta. Una band importante al pari di Porno Riviste, Derozer, Punkreas, e un attimo più tardi Moravagine, Peter Punk, etc. Chi più chi meno, chi più abilmente chi con più limitati mezzi e idee, tutti questi gruppi hanno cercato d’innestare, sulla base dell’hardcore melodico che spopolava ai tempi negli USA, testi in italiano e temi che interessavano in prima persona il kid nostrano. Quindi critica sociale, forse un po’ naif, ma sempre legata al quotidiano dell’Italia, e poi ancora canzoni che parlavano della vita di tutti i giorni degli adolescenti da Bolzano a Siracusa (anche se il grosso di questo movimento ha avuto origine a Milano e dintorni), ironia sulle prime sbronze, ironia sui primi ‘amori’, ironia sulle prime canne, etc.
Basterebbero queste poche righe a descrivere il nuovo disco de Gli Impossibili. “Senza Ritorno“, infatti, non si discosta molto dal precedente “Alcol e Furore” (2008), e così a ritroso fino all’omonimo esordio del 1994. Per chi non li conoscesse, faccia conto di avere a che fare con una versione italiana di NoFx, Offspring, Pennywise e Ramones, con un’enfasi ancora maggiore per cori e ritornelli, e con linee melodiche sempre ben marcate, anche quando i tempi si fanno più tirati (cfr. l’horror – ironica “Elicicoltura“). Unica leggera differenza rispetto al passato, un’ancora più accentuata attenzione, accanto ai consueti temi ironico – goliardici – autobiografici, per le questioni politico – sociali, come ben testimoniano episodi quali “Utopia“, “Multinazionali“, “No Nazi“, “Paura di Reagire” e “La Febbre del Gioco“; come sempre un po’ ingenui, d’accordo non stiamo parlando di Guy Debord, eppure sinceri al 100%. E, in questo senso, l’apripista “Milano” è quasi agghiacciante nel dipingere con pochi e semplicissimi vocaboli uno stato di cose fin troppo reale.
Non si sono mai ‘evoluti’, Gli Impossibili. Anche perché di compromessi e cambiamenti di stile per vendere di più non ne hanno mai voluto sapere, tanto che oggi si autoproducono fieramente. Meglio rimanere uguali a se stessi piuttosto che cambiare e diventare persone peggiori. Noi ce li teniamo più che volentieri così. E la cover finale di “Voglio Vederti Danzare” di Battiato spacca.
A volte ritornano, per fortuna.
Stefano Masnaghetti