Born Into This – Citizens – Diamonds – Dirty Little Rockstar – Holy Mountain – I Assassin – Illuminated – Tiger In The Sun – Savages – Sound Of Destruction
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I The Cult sono come una coppia che dopo una grandissima storia d’amore e un nebuloso divorzio cade in un tira e molla ciclico. Questo inevitabilmente porta ad un serie di minestre riscaldate che non funzionano mai per più di un paio di scopate…sì insomma, per riprovare un attimo quel sapore che tanto piaceva. Sembra di ricominciare tutto avendo imparato dai propri errori, si vuole dimostrare agli altri che va tutto bene ma alla fine la sensazione gradevole dura poco e si ritorna nell’oblio.
Ian Astbury e Billy Duffy quindi riappaiono con la classe e l’esperienza delle rockstar navigate e presentando un album che non può essere brutto, è una questione di matematica. Produzione esplosiva, pura energia rock come non si sentiva da un po’, sezione ritmica con le palle (Craig Adams+John Tempesta), Astbury interprete sempre ottimo e davvero ‘sentito’, Duffy riconoscibilissimo con le sue chitarre seventies incastrate l’una sull’altra. Insomma, non è che i protagonisti siano fuori forma a livello muscolare, è che manca la magia (come sempre). Manca la scintilla di songwriting che può far diventare un pezzo memorabile.
Il disco è diviso in due: la prima metà dedicata al lato più hard rock della band, la seconda a quello più mistico e psichedelico. L’inizio, pur avendo un certo tiro (tra basso sferragliante e chitarre abrasive), non è molto rassicurante. Dopo una serie di pezzi che crescono senza mai sfondare infatti, quello che dovrebbe essere il climax è occupato da ‘Dirty Little Rockstar’: canzone di plastica che andrebbe bene per una discoteca rock di LA e per due ragazzini che non conoscono il glorioso passato della band. La ballad country ‘Holy Mountain’ sfianca abbastanza, dato che brucia ancora il ricordo di una certa ‘Edie’, e fa da spartiacque per la seconda parte. Parte decisamente migliore dove finalmente arrivano un paio di giri di chitarra davvero ipnotici e dove Astbury invoca i suoi dei con la dovuta convinzione (come in ‘Illuminated’). Qua davvero si sente un crescendo di intensità necessario, che sfocia nella conclusiva ‘Sound Of Destruction’. Tipico disco da reunion: il ricordo dei classici (‘She Sells Sanctuary’, ‘Rain’, ‘Sun King’, ‘Fire Woman’…devo continuare?) gli spezza le ossa ma per una scopata in onore dei vecchi tempi va bene.
M.B.