[Hard Rock] Melvins – The Bride Screamed Murder (2010)



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Difficile imbattersi, nella storia del rock, in un gruppo più ‘trasversale’ dei Melvins. La band di King Buzzo, infatti, non è mai stata inseribile in un filone preciso, e forse proprio per questo ne ha influenzati innumerevoli. Generalmente si parla di loro quando si vuol fare l’esegesi del grunge, eppure è fuorviante delimitarne il sound a Nirvana e affini. In realtà universi paralleli quali metal, hardcore e sottogeneri annessi (sludge, doom, drone, stoner) devono ai Melvins più di quanto si creda. Le movenze torbide e paranoiche dei loro dischi più significativi, “Ozma” e “Bullhead”, limacciose catalessi che devastano nell’acido i riff dei Black Sabbath e li reinterpretano con piglio punk, sono lì a testimoniarlo. Quello che poi li ha resi ancor più speciali, è la capacità di durare nel tempo nonostante un impianto sonoro di base che, pur non essendo granché fantasioso, è stato comunque abilmente reinventato dai nostri album dopo album, tanto che a quasi trent’anni dalla loro fondazione sono ancora tra noi.

“The Bride Screamed Murder” è, infatti, il ventesimo studio album dei Melvins (esclusi EP, remix e collaborazioni varie). Arriva dopo l’ottimo “Nude With Boots”, e stilisticamente non si discosta molto da quest’ultimo. Si parte dall’hard rock più viscerale, quindi, scandito da riff possenti e quasi ‘orecchiabili’ (per la loro media), per poi lasciarsi andare a derive psichedeliche e a deliri di vario genere, lambendo indifferentemente grunge, hardcore e metal. Nella traccia apripista, “The Water Glass”, viene lasciato largo spazio alle percussioni di Dale Crover, che s’innestano in un intrico di voci e call and response demenziali. Si passa poi all’hard rock in odore di grunge di “Evil New War God” e “Pig House”, tipici esempi dell’ultimo corso del complesso (non mancano neppure i rimandi al loro classico “Houdini”). La psichedelia serve per distorcere a puntino “I’ll Finish You Off” (con accordi d’organo fra il lugubre e il magniloquente) e “Hospital Up” (quest’ultima vanta anche improbabili accordi di piano jazz nel finale), due brani che potrebbero ben figurare nel repertorio dei Motorpsycho. C’è spazio anche per una risciacquatura thrash (il riff introdotto a metà pezzo, minuto 1.42 circa, pare rubato da un disco di una band bay area a caso, suonato però a 16 giri anziché a 33) degli onnipresenti Black Sabbath (Electric Flower), una botta hardcore (Inhumanity And Death), un’irriconoscibile cover degli Who (My Generation), lenta e catalettica, e per i sei minuti finali di “P.G. x 3”, assurdo puzzle di cantato a cappella, assoli di chitarra e voci infantili.

Tutto sommato un buon lavoro, che però perde il confronto con il predecessore e segna una fase di stanca nella creatività del quartetto. Più che fisiologico dopo una carriera lunghissima e innumerevoli uscite. Fa sempre piacere ascoltare i Melvins e assaporare il loro concetto distorto di rock band, però bisogna essere onesti e ammettere che “The Bride Screamed Murder” è una pubblicazione dispensabile e indirizzata esclusivamente ai loro fan più accaniti. In ogni caso Buzz Osborne e compari non hanno nessuna intenzione di abdicare, e per una formazione che ad inizio carriera era considerata poco più di una presa in giro (probabilmente lo è davvero, ma si tratta dello scherzo più influente e creativo dell’intera storia del rock) questa longevità è qualcosa di strabiliante. Lunga vita ai Melvins.

Stefano Masnaghetti

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