[Hard Rock/Progressive] White Denim – Fits (2009)
Radio Milk How Can You Stand It – All Consolation – Say What You Want – El Hard Attack DCWYW – I Start To Run – Sex Prayer – Mirrored And Reverse – Paint Yourself – I’d Have It Just The Way We Were – Everybody Somebody – Regina Holding Hands – Syncn
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Nonostante gli ultimi anni non siano stati certo esaltanti per lo sviluppo della musica, così compresi fra un mero revival da sfruttare e una ridda di reunion sterili ed inutili, ogni tanto c’è ancora qualche artista che ha il coraggio di osare e di percorrere sentieri poco battuti, ai confini con l’incerto. Questo è il caso dei White Denim, trio texano (Austin) che basa lo scheletro della propria musica sugli anni Sessanta/Settanta, ma che non utilizza il passato in modo puramente calligrafico/nostalgico. Anzi, non si fa timore di trasportare nella contemporaneità suoni, visioni e sensazioni di quasi quarant’anni fa. Probabilmente pochi al giorno d’oggi meritano l’appellativo ‘progressivo’ quanto i White Denim.
“Fits”, loro terzo album, è un frullato di stili che stupisce per freschezza e ispirazione, anche se a volte il senso di confusione raggiunge livelli parecchio alti (e anche questo, a ben guardare, è un pregio). Assoli blues – rock si fondono con modi di fare indie anni 00, il piglio delle garage band di “Nuggets” è affiancato a percussioni latine, con Santana che occhieggia ai Thirteen Floor Elevators. C’è posto per l’urgenza dell’hardcore Eighties e per il funambolismo dell’hard rock Seventies, c’è un gusto per la continua metamorfosi di uno stesso brano che fa addirittura pensare a Frank Zappa (ovviamente fatte le debite proporzioni, ma c’è): pezzi come “Radio Milk How Can You Stand It” e “Say What You Want”, con le loro bizzarre variazioni, ricordano terribilmente le arguzie del Maestro americano; e la soul ballad “Regina Holding Hands” potrebbe ben figurare in uno dei suoi dischi più ‘commerciali’. In molti brani pare che un gruppo punk si diverta a rileggere Jimi Hendrix, in altri la psichedelia s’insinua in robusti blues che potrebbero essere dei Led Zeppelin (All Consolation). Quando serve, anche l’organo hammond è chiamato in causa, e i risultati sono più che apprezzabili (“Paint Yourself” e “Sex Prayer”). Proseguendo nell’ascolto, si scoprono preziose striature folk, country e tante altre raffinatezze che i Nostri sanno introdurre nell’economia del loro suono senza forzature, quasi con nonchalance. Tutto questo in soli 12 brani e in soli 36 minuti di durata!
Senza supponenza, anzi quasi con umiltà e naturalezza, i White Denim hanno composto un disco coi fiocchi, che spiazza, aguzza l’udito e si rivela più interessante del 99% della musica in circolazione. Se non si monteranno la testa, in futuro i tre texani potranno persino superarsi, limando qualche ingenuità di troppo e sfornando opere in grado di aprirsi il varco da sole, senza bisogno d’innestarsi su di un genere preesistente. La speranza è questa, per adesso c’è “Fits” da far girare molte volte nel lettore.
Stefano Masnaghetti