Kanye West – My Beautiful Dark Twisted Fantasy

Se West sia un genio o meno sarà il tempo a stabilirlo. L’unica certezza è quanto sia stato innovatore, e a quale enorme livello di celebrità sia arrivato in patria. George Bush (quello della seconda guerra in Iraq, per i meno attenti) ha dichiarato che il momento più basso del suo mandato è stato quando Kanye West gli ha dato del razzista, tanto per capirci.

Tralasciando le sue bizze, MTV ci rinfresca sempre la memoria, il signor West ha rimodellato a suo piacere l’hip hop, raggiungendo nuove vette a livello di produzione e di liriche. Il nuovo “My Beautiful Dark Twisted Fantasy” segue l’ottimo “808s & Heartbreak”, riportando il rapper alle sue radici: addio elettronica, autotune e malinconia…tornano beat, campionamenti, ‘shit’ e ‘niggas’ come se piovesse.

Il disco è una sintesi incredibilmente efficace della personalità di West: sofisticato, eclettico, pungente e stronzissimo. Il guaio è che, al di fuori degli USA, difficilmente qualcuno lo potrà capire veramente. Gli eccentrici campionamenti di West, infatti, (a questo giro pesca pure da Mike Oldfield, King Crimson e Black Sabbath, per dire) non pagano dal punto di vista dell’immediatezza. E’ più facile quindi che l’ascoltatore venga rapito dai beat del premiato ritorno di Eminem. I testi poi, punto di forza del disco, sono assolutamente al di fuori della portata dell’ascoltatore non-anglofono medio. E, statisticamente, tra i pochi in grado di capirlo sarà difficile trovare qualcuno pronto ad appassionarsi ai suoi drammi esistenziali da cosmopolita milionario.

L’album nasce da un manipolo di fidati produttori (tra cui RZA e Jeff Bhasker) a cui si affiancano parecchi ospiti illustri. Saltano all’occhio Jay-Z e Nicki Minaj su “Monster”, la prezzemolina Rihanna (che si prende il gancio più commerciale del disco su “All Of The Lights”) e John Legend. Il resto è un collage di piccoli camei tra cui Alicia Keys, Elton John, Fergie e altri…
Il tutto è costruito come uno ‘stream of consciousness’, senza soluzione di continuità: lunghi brani che si fondono, si sovrappongono, pronti a sbalzarci da una storia all’altra. La carne al fuoco è davvero tantissima e Kanye ne ha per tutti.
Il titolo è uno specchietto per allodole: poche sono le fantasie qui dentro, superate da crudissime riflessioni sulla vita e sullo status di West. Intrappolato in una gabbia d’oro, amato ed odiato all’estremo, senza pace, spinto a eccellere a qualunque costo in una gara che, vinta o persa, porta comunque alla solitudine e al vuoto di valori e di spirito…lasciandolo pure a contemplare il suicidio. Nessuna soddisfazione né dagli amici né dalle donne (in questo disco più simili a letali sanguisughe).
Kanye le spara grosse: icona americana ma sempre inquadrato per il colore della sua pelle (I treat the cash the way the government treats aids/I won’t be satisfied til all my n-ggas geti it, geti it?), relazioni interpersonali a pezzi (Everybody wanna know what my achilles heel is/LOVE I don’t get enough of it/all I get is these vampires and blood suckers/all I see is these n-ggas I’ve made millionaires), considerazioni sulla situazione sociale americana (la conclusiva “Who Will Survive In America?”). Menzione particolare per il leggendario sproloquio di Chris Rock alla fine di “Blame Game”, spirale sentimentale tanto spiazzante quanto cruda, come solo la realtà sa fare.
Non il solito disco di hip hop, una maturazione inarrestabile.

I went to the favorite
To the most hated
But would you be rather underpaid or overrated?

Marco Brambilla

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