[Indie Pop] Adam Green – Minor Love (2010)


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C’era una volta Adam Green, il ragazzino splendido irretito da Kimya Dawson, rapito dal college a diciassette anni e trascinato nel giocoso girone infernale dei Moldy Peaches a pascersi di crack, porno, giochi da tavolo e biciclettine da bambini.
C’era una volta, adesso non c’è più: i Moldy Peaches sono sciolti da tempi ormai immemorabili, Kimya e Adam si sono divisi equamente l’eredità spirituale di uno dei gruppi più bizzarri, nuovi e propositivi dei primi anni duemila, lei tenendosi il lato più carino e cuccioloso, lui continuando a percorrere la strada del peccato che aveva imparato ai tempi di Who’s Got The Crack?.
Almeno, così sembrava.

Minor Love arriva apposta per scompigliare le carte, mostrando la via personale alla maturità di un adolescente per sempre, una via crucis in quattordici stazioni, quattordici fotografie di vita per quattordici Adam diversi, accomunate da un amore sfrenato per il crooning di Sinatra e compari (che già si intuiva in precedenza, ma qui è il collante più forte fra i pezzi) e per il Lou Reed più narrativo e caustico, in un’oscillazione costante fra Strangers In The Night e Walk On The Wild Side.
In questo album c’è spazio per l’ironia tagliente di Castels And Tassels, favoletta su nobiltà, ricchezza e culi flatulenti, ma anche per Boss Inside, molto più di una canzone con una metrica perfetta scritta da un ragazzo fin troppo dotato per le rime, ci sono solo pezzi che non superano i tre minuti, roba da gente con i disturbi dell’attenzione, ma anche terribilmente divertente e fresca.

Al primo colpo sembrerà l’ennesimo disco di indie pop acustico, ma ad un secondo ascolto si rivelerà in tutta la perfezione che solo le cose piccole, pure e ingenue riescono a raggiungere.

Francesca Stella Riva

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