[Indie Pop] Numero6 – I Love You Fortissimo (2010)



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I Numero6 sono sempre stati interessanti, fin da quando, ancora sotto il nome di Laghisecchi, avevano fatto uscire un album bello, molto, come “Radical Kitsch”. Lo sono stati poi anche con “Dovessi Mai Svegliarmi”, il loro secondo lavoro, e lo sono ancora adesso. Quello di Michele Bitossi è un modo interessante di scrivere e le melodie, da sempre orientate ad un pop il più possibile ricercato e di nicchia, sono ancora una volta ineccepibili.

“I Love You Fortissimo” non è però immediato come immediati erano stati i lavori precedenti: il disco si accende più nella seconda parte che nella prima, da “Wimbledon” in poi, e non sempre acceso rimane. C’è da dire che, quando le cose funzionano, funzionano davvero, “Vinavil” ha un bel piglio autoironico e scanzonato, e “Wimbledon” stessa è costruita con arte: Lea Pericoli che commenta Wimbledon e quel che ne consegue sono il pretesto per dipingere con immagini più lucide quello che qui si vuole realmente comunicare, molto più diretta, invece, “Per Chiederti Scusa”, arroccata su incastri metrici coraggiosi e tirata il giusto musicalmente.

Parlando di contenuti, oltre alla “piccola intimità” che tanto piace alla musica italiana degli ultimi anni c’è di fondo, in “I Love You Fortissimo”, un disagio, grosso, per i tempi e i modi di oggi, un coltello affilato che, trasversale, non risparmia nessuno, dal livello culturale dell’oggi (la mamma che ascolta una brutta canzone di Povia) ai rapporti interpersonali (la ricerca del pompino perfetto come pretesto per costruire una bella canzone d’amore) passando per “la bella gente” che in realtà è brutta e le speculazioni giornalistiche.
Uno snobismo giusto, in tempi di grezzume e ignoranza, che a volte buca il velo di leggerezza con anche troppa forza, diventando invadente ed eccessivo.
Tant’è, gli eccessi si perdonano, e questo è comunque un bel lavoro, sentito, cesellato.
Con un po’ più di coraggio e una piccola dose di ricerca in più (soprattutto a livello testuale, ché dopo un po’ il linguaggio gergale, a furia di “cazzeggiare”, “sbattimenti” e altre amenità diventa pesante), sarebbe stato perfetto.

Francesca Stella Riva

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