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Dopo l’album postumo “From a Basement on the Hill” (2004) e la raccolta d’inediti “New Moon” (2007), anche per Elliott Smith è arrivato il momento del semplice “best of”, segno che ormai il grande cantautore statunitense ha guadagnato lo status di classico della musica moderna. “An Introduction to…” è né più né meno quello che promette il titolo, ossia una pubblicazione destinata quasi esclusivamente a chi non ha ancora avuto la fortuna di conoscere ed apprezzare le canzoni di questo musicista tragicamente scomparso nel 2003.
Nessun inedito o rarità, quindi, solo una panoramica su quanto fatto da Elliott nel corso della sua carriera solista. A far la parte del leone ci pensano i brani tratti da “Either/Or” (1997), ben 5 su 14; scelta piuttosto scontata, dato che si tratta dell’album che rivelò il genio del Nostro al mondo intero, e che gli permise di firmare addirittura un contratto con una major per il successivo “XO” (1998), il quale è invece rappresentato da una sola traccia, “Waltz #2” (ma probabilmente tale scelta è anche dovuta a motivi di copyright, dal momento che questa compilation esce per Kill Rock Stars Records negli Stati Uniti e Domino Records in Europa).
In ogni caso la selezione è ben fatta, ogni LP è rappresentato da almeno una canzone, e i classici, da “Needle in the Hay” ad “Angeles”, da “Ballad of Big Nothing” a “Between the Bars”, passando per l’immancabile “Miss Misery”, qui nella versione presente su “New Moon”, ci sono quasi tutti. Certo, ogni fan potrebbe lamentare l’esclusione di questo o quel brano; io, ad esempio, avrei gradito molto l’inclusione di “Let’s Get Lost”, episodio minore ma di grazia cristallina. Il punto, però, è che il disco in questione non è stato affatto pensato per i fan del songwriter, ma piuttosto quale mezzo in grado di far conoscere la sua musica a nuove persone. L’aspetto commerciale è talmente ovvio da non meritare ulteriori sottolineature.
“An Introduction to…” è allora una buona occasione per iniziare a conoscere e, forse, amare una delle poche figure realmente eccezionali del panorama indie degli ultimi vent’anni, in grado di rileggere e innovare l’intimismo di Nick Drake e molto del pop rock degli anni Sessanta/Settanta – in particolare Beatles e Simon & Garfunkel – attraverso un’attitudine sinceramente ‘alternativa’, che chiama in causa tanto Evan Dando e i suoi Lemonheads quanto Beck, il tutto con un piglio ‘obliquo’ chiaramente influenzato dagli inizi hardcore/grunge con gli Heatmiser.
Stefano Masnaghetti