[Indie Rock/Folk] Jason Collett – Rat A Tat Tat (2010)

 

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“Rat A Tat Tat” è il quinto album solista di Jason Collett, musicista canadese meglio conosciuto per la sua militanza negli indie rocker Broken Social Scene. In realtà il disco in America è uscito il maggio scorso, ma solo adesso approda nel Vecchio Continente. Si tratta, è bene metterlo in chiaro subito, di un buon lavoro di caratura medio – alta, in cui gli echi della band madre sono certamente presenti, ma in prospettiva meno barocca e più semplice e lineare, più essenziale.

Collett si diverte a creare canzoni dalle sfumature agrodolci – in realtà più dolci che agre – e fa tutto questo con tocco lieve e, nonostante certi chiaroscuri folk, con un evidente spirito giocoso e divertito. Nel complesso abbiamo a che fare con un patchwork di diversi stili, ridotti all’unità dal piglio cantautorale che informa l’intera opera, che sopra a tutto guarda agli anni Sessanta/Settanta e a quei modelli compositivi, nonostante non manchino affatto gli agganci con la contemporaneità. Questi ultimi si avvertono soprattutto nell’alt – dance ibridato con la folktronica di “Love Is A Chain”, che con i suoi innesti di fiati potrebbe ricordare persino gli Architecture in Helsinki, ma anche nel funk – rock di “Love Is A Dirty Word” e nell’alt – folk di “Long May You Love” e “Cold Blue Halo”. Altrove è la tradizione a farla da padrone, ad esempio nella ballad alla Lou Reed “Bitch City”, nel pop fra Kinks e Beatles che caratterizza “High Summer”, nel classic – rock di “Lake Superior”. Menzione d’onore infine per “Rave On Sad Song”, buon esempio di cantautorato fra Bob Dylan e Band, per l’ironico country da ultimo saloon sulla faccia della terra di “Vanderpool Vanderpool” e per “Winnipeg Winds”, unico pezzo veramente oscuro del disco, quasi una ballata alla Nick Cave, l’ombra del quale si rivela soprattutto nello spettrale coro che appare in sottofondo.

I detrattori parleranno di un album sin troppo leggero e dallo stile piuttosto scontato. In realtà “Rat A Tat Tat” si fa rispettare per la sua assoluta mancanza di pretese, per una felice vena creativa, per la volontà da parte dell’autore di rallegrarsi con la propria musica. Non da ultimo, si fa preferire all’ultima, scialba fatica dei Broken Social Scene. Bravo Jason.

Stefano Masnaghetti

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