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Americani fino al midollo e fieri di esserlo, i The Walkmen sventolano alta la bandiera a stelle e strisce intridendo la loro musica di ruspante sentimento made in USA dalla prima all´ultima strofa. E questo, ben inteso, non è per niente un elemento a loro sfavore.
Con “Lisbon”, sesto lavoro della band, i The Walkmen ritornano alle loro radici country – folk con ancora più decisione ed orgoglio, in un disco che sa di campagne, di cittadine scolorite ed assolate, di praterie accarezzate dal vento in cui riecheggiano all´infinito le melodie dei Nostri, rimanendo sospese e cristallizzate in un´epoca lontana.
Distrattamente newyorkesi (e comunque solo d´adozione), i The Walkmen sembrano guardare con nostalgia ad un passato, forse neanche il loro, di un´America semplice e campestre, in cui alla domenica ci si mette il vestito buono e si migra in città a sentire la banda e le sue marcette (“Stranded”) mentre alla sera si va a ballare un lento cheek to cheek (“Torch Song”) suonato magari dal jukebox.
Palesi le allusioni al folk di stampo dylaniano, che compaiono sia negli intrecci melodici che nel timbro vocale di Leithauser, talvolta addirittura sfacciatamente emulatorio (vedi la comunque bellissima “While I shovel the snow”). Il carattere del disco é scanzonato, adolescenziale, l´inconfondibile chitarra di Paul Maroon si diverte a tratteggiare atmosfere dal sapore smaccatamente fifties e sixties che si espandono eteree e sognanti nello spazio, mentre la solenne batteria di Barrick riporta velocemente alla concretezza, facendosi in alcuni casi concitata (“Angela surf city”), in altri delicata e quasi trasparente (“Lisbon”).
La città è lontana, ma se ne sente il richiamo con “Angela Surf city”, il pezzo più tagliente dell´album, in cui i the Walkmen scuotono vigorosamente le acque in un feroce rock dalle fattezze quasi punk, urlatissimo, che arde di passione. La band torna così di colpo al presente, in un pezzo che si infila dritto dritto nella carne per non uscirci più.
L´attitudine rock della band rimane però essenzialmente latente in “Lisbon”, che si mantiene omogeneo e coerente sulla linea della ballatona folk nostalgica, solo raramente intervallata da bruschi risvegli che riportano ad una realtà decisamente più moderna e meno riflessiva.
Valentina Lonati