[Indie Rock/Post Grunge] Ladyfinger (ne) – Dusk (2009)
Over And Over – A.D.D. – Little Things – Two Years – Read The Will – Work Party – Bones – Plans – Let’s Get Married – Born In The 80’s
http://www.ladyfingersucks.com
http://www.saddle-creek.com
La sigla (ne) sta per Nebraska, stato di origine della band in questione, che la utilizza per evitare confusione con i Ladyfingers e il loro strambo rockabilly in salsa lo – fi. Nebraska, dicevamo. Più precisamente Omaha, e il quartetto incide per Saddle Creek.
Chi vi viene in mente? Esatto, i Cursive. E, in effetti, le affinità tra i due gruppi ci sono. Entrambi partono da un retroterra punk – hardcore, entrambi lo alleggeriscono con una ricerca melodica sempre in primo piano, entrambi condividono il gusto per melodrammatiche tonalità di stampo emocore. Le similitudini, però, finiscono qui, perché i Ladyfinger (ne) sono più diretti e meno complessi, e puntano tutto quello che hanno da giocare sul ritornello power – pop a presa rapida. Oltre a nutrire un grosso debito verso il cosiddetto post grunge, Foo Fighters in primis.
Strumentalmente sono bravi, e al primo ascolto “Dusk” pare un disco dannatamente buono. Le canzoni mantengono un buon equilibrio tra levigatezze indie rock e venature metalliche, di chiara derivazione post punk, con i Fugazi quali mentori principali (cfr. la conclusiva “Born In The 80’s”, in cui sono pure percepibili alcuni spunti à la Sonic Youth). Poi c’è la componente più smaccatamente hard rock, e in questo caso i nomi privilegiati sono quelli della sopraccitata band di Dave Grohl e degli ultimi Queens Of The Stone Age (“Little Things” e “Two Years” sembrano partorite da una session fra i due complessi). Non mancano neppure accenni di math rock, evidenti soprattutto nelle trame percussive di “Read The Will” e nel riffing di “Work Party”. Il cantante Chris Machmuller si rivela un buon melodista, e i musicisti dietro di lui sono ottimi nel coadiuvarlo, sia nei frangenti più agitati sia in quelli più palesemente pop – oriented.
Però, proseguendo negli ascolti, l’album inizia a cedere. I Ladyfinger (ne) sono sì abili nell’amalgamare parecchi generi differenti, ma i riff riciclati sono un po’ troppi (in “A.D.D.”, ad esempio, pare di sentire un accordo dei Black Flag immerso in melensi arrangiamenti emo, e non è un bel sentire); si scivola spesso in un hardcore melodico di piccolo cabotaggio, come in “Bones”; in generale, le trovate melodiche sanno troppo spesso di già sentito, e questo è il difetto peggiore per il loro ideale musicale.
“Dusk” è un buon ascolto disimpegnato, da sottofondo serale. Ma rischia di esser dimenticato nel giro di pochi mesi. In ogni caso il gruppo è dotato di un talento fuori dal comune, specie per quanto riguarda la capacità di unire dolcezza e aggressività: piazzando un paio di singoli “giusti” nel prossimo disco, la band potrebbe fare il botto commerciale, perlomeno negli Stati Uniti.
Stefano Masnaghetti