[Jazz] Arild Andersen – Live At Belleville (2008)

 

Independency Part 1 – Independency part 2 – Independency Part 3 – Independency Part 4 – Prelude To A Kiss – Outhouse – Dreamhorse

www.arildandersen.com
www.ecmrecords.com

Durante le sue numerose perlustrazioni in mondi sonori differenti e a volte antitetici, quali possono essere, ad esempio, il folk tradizionale norvegese, la sperimentazione informale e la musica per il teatro, ad Arild ogni tanto piace fermarsi e tornare a comporre lavori più strettamente jazz, memori dei suoi esordi nel quartetto di Jan Garbarek (1967 – 1973), che ricordiamo esser stata una delle esperienze più importanti per il jazz europeo d’avanguardia in generale, e nordico in particolare.

Solo tre anni fa il grande contrabbassista aveva collaborato a “Nomad”, insieme a Ferenc Snetberger alla chitarra e a Paolo Vinaccia alla batteria. In “Live At Belleville” ritroviamo quest’ultimo dietro le pelli, mentre la chitarra viene sostituita dal timbro ora lirico ora passionale del sassofono tenore dello scozzese Tommy Smith. Ancora un trio, quindi, in quest’occasione persino più strettamente collegato alla storia jazzistica. E ancora una prova di grande spessore da parte di Andersen e dei suoi collaboratori.

Tutte le composizioni presenti nel disco sono firmate dal musicista norvegese, eccetto lo standard “Prelude To A Kiss”, di Duke Ellington. Su tutte, però, s’impone la suite “Independency”, divisa in quattro parti e composta in occasione del centenario dell’indipendenza della Norvegia dalla Svezia. Quattro movimenti introdotti dal pizzicato sul contrabbasso del leader, che nella prima parte dirige l’interplay con i suoi due compagni verso sviluppi ampi e cool, mentre nella seconda li lascia liberi d’incendiare il concerto con sonorità al limite del free: ottimo il dialogo di Vinaccia con Smith, il quale dimostra tutta la sua abilità al sassofono, librandosi in un assolo in cui si possono cogliere echi di Coltrane e di Rollins. Andersen diventa protagonista assoluto nel terzo movimento, quando al suono acustico degli altri strumenti sovrappone un evanescente tappeto elettronico, in grado di donare al pezzo quelle sonorità rarefatte e dalle larghe campate che hanno fatto la fortuna del marchio ECM (ricordiamo lo slogan: “Quello dell’ECM è il miglior suono dopo il silenzio”). La suite si chiude con una quarta parte oscillante tra lo swing e l’hard bop. Per tutta la sua durata non appare un vero e proprio tema, che rimane solo abbozzato: emergono piuttosto tanti piccoli nuclei armonici che servono ai musicisti quale base di partenza per le mille variazioni che, di volta in volta, mutano il volto ai 44 minuti della composizione. Un lavoro magistrale, di notevole fascino e di grande equilibrio sonoro, tra i migliori mai composti da Arild.

Il resto dell’album non è, francamente, all’altezza di “Independency”, almeno a livello di creatività e d’idee espresse: ovviamente l’assoluta precisione tecnica e l’incredibile preparazione musicale del trio non è mai messa in discussione, e garantisce una perfetta fluidità di manovra anche nei frangenti meno ispirati e personali (tuttavia, il lirismo di “Dreamhorse” è sempre un bel sentire). In ogni caso, “Live At Belleville” è caldamente consigliato anche solo per la straordinaria suite quadripartita, eccitante compendio della scuola jazzistica norvegese e del free d’oltreoceano, ideale punto di scontro tra fuoco e ghiaccio.

Stefano Masnaghetti

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