Sono ancora aperte e sanguinanti le ferite di Joan Wasser. Ferite risalenti ad un´altra vita, una vita cantata, confessata e sussurrata nei suoi due album di inediti “Real life” e “To survive”. Joan Wasser si presentava così, splendida nel suo straziante travaglio interiore, paladina di sonorità black-soul che tra le sue mani si lasciavano plasmare docili, assumendo le forme ed i contorni di delicate ballate intimiste costantemente in bilico tra melliflui sussurri e grida laceranti di dolore. Con addosso lo strazio per una tragica perdita (Jeff Buckley, suo fidanzato di allora), una giovanissima Joan Wasser si vide vagare tra le corti di chi meglio di lei aveva saputo trasformare il vuoto gelido della sofferenza in ricchezza compositiva: le preziose collaborazioni con Anthony and the Johnsons, Rufus Wainwright, Lou Reed e David Sylvian le regalarono le ali ed il coraggio per volare dasola. E fu così che Joan diventò tutto quello che noi oggi conosciamo: il lupo solitario che si trascina per le strade del blues a braccetto con le sue angosce, la cantautrice indie per eccellenza pur amando generi che indie non sono, la raffinata musicista che commuove con le sue toccanti ballate a fil di voce. Ora “Joan as Police Woman” torna con “The deep field”, un album che non si distacca molto dalle passate malinconie, pur sforzandosi di apparire più sporco, sensuale e provocante. E così in questo album capita di venire aggrediti da audaci distorsioni di chitarre che strappano il palcoscenico alle tanto amate atmosfere soul (“Nervous”) o di venire invece sedotti dalle movenze mistiche e sinistre di tiritere quasi esoteriche (“Flash”). Detto questo, Joan la poliziotta però sembra non aver intenzione di abbandonare la formula che l´ha resa vincente nei precedenti album: tanto soul, una manciata di blues q.b. ed una spruzzatina di pop per rendere il tutto più digeribile. Le mille personalità di Joan giocano a mischiarsi, nascondersi, esaltarsi tra di loro: c´è la Joan dalla voce spezzata, roca, che barcolla tra ubriachezze blues, la Joan sensuale che ammicca languida, la Joan che si contorce mentre il suo grido solitario emerge dalle tranquille acque delle melodie soul. Forse, rispetto al passato, si nota un po’ più di confusione, una volontà di intraprendere qualcosa di nuovo senza sapere bene da che parte incominciare. A parte questo, si tratta di un album piacevolissimo, che pur non aggiungendo molto alla discografia passata, si fa sicuramente apprezzare in tutte i suoi attraenti chiaroscuri.
Valentina Lonati