Con i lodatissimi Three Second Kiss momentaneamente (ma anche giustamente, dopo aver dato tanto) inscatolati in cantina, il chitarrista Sergio Carlini ne approfitta per pubblicare un disco solista. Interamente strumentale e molto intimo, che, come per il gruppo madre, mantiene un retroterra e uno sturm und drang molto chicagoano. Vedasi a proposito anche la masterizzazione (che genera certi suoni) di Bob Weston degli Shellac.
Dall’artwork glaciale che mette pace si dipana il lato di Carlini più quieto e rarefatto, costruito attorno alla sei corde acustica o elettrica. Il disco vive anche dell’apporto di svariati ospiti, dal violinista Giovanni Fiderio (Tapso II e Mushrooms), alla chitarra di Stefano Pilia (Massimo Volume, 3/4 Had Been Eliminated), il banjo di Paolo Iocca (Franklin Delano, Blake e/e/e, Boxeur The Coeur) e la batteria di Julien Fernandez (Chevreuil, Passe Montagne).
Le basi di partenza sono il folk ed il finger-picking di John Fahey, e le raffinatezze di Grubbs e O’Rourke via Gastr del Sol. Ci si perde nei passaggi cameristici e cinematici pieni d’armonie per un country-ambient delicato che regala piaceri d’ascolto, prima di far tappa in certi ispidi angoli math/post punk (June Of 44), quando compare la batteria.
Luca Freddi
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