June 1974 è il progetto dietro al quale si cela Federico Romano, più noto fino ad oggi come scrittore di poesie, racconti e romanzi (sue le opere “Il Bambino del Mai”, “Visions” e “Lettere da Antartica”). È nel 2009 che l’artista decide di tentare anche la via delle note per meglio esprimere la propria creatività, e nel giro di neppure due anni lo ritroviamo con all’attivo un album, due EP (compreso il qui presente “Devotion”) e più di 15 singoli. Non è un errore, Federico ha già pubblicato tutto questo materiale in pochi mesi (tra l’altro, potete ascoltare ed ammirare le stupende copertine di tali singoli direttamente sul suo sito). In particolare, è interessante notare che la decisione di rilasciare così tanti brani isolati deriva dalla loro eterogeneità, poiché secondo l’autore ognuno di essi si muove in un ambito musicale ben definito, risultando incompatibile con gli altri. Complimenti al coraggio e alla lucida ‘follia’ di questa scelta.
Arrivando a “Devotion”, ammetto che questo lavoro mi ha dato scacco matto. A chi, come il sottoscritto, adora spulciare i vari brani di un cd cercandone le similitudini con opere di altri musicisti, quest’opera non offre alcun appiglio. Il territorio in cui le sei tracce si muovono è un ambient elettronico innervato da forti ascendenze classiche (in particolare la classica contemporanea virata al minimalismo) , vedi l’uso del pianoforte e degli archi sintetizzati, nonché da una componente quasi operistica enfatizzata dall’uso della voce femminile. Ma il piglio complessivo è personalissimo, e in questo senso June 1974 è davvero il parto dell’interiorità dell’artista che l’ha creato. Certo, qua e là si possono notare alcune suggestioni che potrebbero rimandare a qualcosa dei Nine Inch Nails più eterei, oppure ai Depeche Mode e persino a certo post – rock di stampo Mogwai (Kissing Aurora), o ancora a nomi più di nicchia quali Die Verbannten Kinder Evas (a proposito, chi se li ricorda?) e Arcana (infatti è presente come ospite speciale la cantante Ann Mari Thim), nonché ai Dead Can Dance dei primi dischi. Ma si tratta semplicemente di lievi assonanze, che Romano fa sue e rielabora spontaneamente e completamente, sino a renderle irriconoscibili. Quindi dimenticatevele pure e lasciatevi trasportare nel suo mondo senza eccessivi sofismi o pignolerie.
Le premesse per una carriera interessantissima ci sono tutte, adesso la curiosità è quella di vederlo alle prese con un’opera di più ampia portata.
Stefano Masnaghetti