Mark Stewart è un personaggio che va giudicato, oltre che per la sua discografia, per l’influenza che il suo lavoro ha avuto e avrà sull’intero panorama musicale. L’ex leader di The Pop Group, band sospesa tra il post punk e contaminazioni meticcie di reggae, funk e free jazz, è infatti considerato da molti musicisti odierni come un punto di riferimento, pioniere dell’industrial e ispiratore di quel Bristol Sound che negli anni ’90 partorì genietti come Tricky, Portishead e Massive Attack. Ma come si traduce tutto questo, oggi come oggi, in un disco? Per lo più in “The Politics of Envy“, insieme di undici tracce che riflette la schizofrenia ispirazionale di Stewart.
Nel disco, infatti, confluisce un po’ di tutto, dall’attitudine punk di “Autonomia“, brano cantato assieme a Bobby Gillespie dei Primal Scream, all’infuso reggae dub di “Gang War“, insaporito dal leggendario produttore giamaicano Lee “Scratch” Perry, passando per l’incalzante electro-pop di “Baby Bourgeois“, le atmosfere trip hop di “Method of Madness“, dove non per niente si intrufola Daddy G dei Massive Attack, e financo qualche eco di dubstep in “Want“. Questo eclettismo di fondo ci regala alcune vere e proprie perle, come i brani sopracitati, ma ha come inevitabile downside una scarsa compattezza e coesione tra le tracce, quasi una sorta di confusione di fondo, che è di certo frutto di una scelta stilistica, ma che rende comunque l’esperienza di ascolto un po’ frammentaria.
Detto questo, “The Politics of Envy” riassume bene la figura di Mark Stewart: una fonte di ispirazione per comprendere cos’è successo negli ultimi anni in musica e per capire da dove ripartire per continuare a innovare e sperimentare. Insomma, un disco che oltre a essere bello è anche utile. Per chiudere, una curiosità: Mark Stewart, che nel suo disco si lascia andare volentieri a invettive contro i “corporate cocksuckers“, dedica la già citata “Autonomia” a Carlo Giuliani, la vittima-simbolo del G8 di Genova.
Marco Agustoni
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