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“One-Armed Bandit” giunge dopo cinque anni di silenzio da parte del collettivo norvegese. In tutto questo tempo i membri dei Jaga Jazzist hanno avuto modo di pensare al nuovo corso della band e collaborare con altri musicisti; Lars Horntveth, insieme al fratello Martin cuore e mente del progetto, ha persino avuto la possibilità di coronare vecchi sogni sinfonico – cinematici con il suo secondo disco solista, il buon “Kaleidoscopic” (2008).
In un certo senso, il percorso dei Jaga riparte da quel disco, dal fascino per il preziosismo sonoro e per il cesello dell’orafo. Il nuovo album appare quindi un raffinato gioco d’incastri timbrici e armonici, minuziosamente studiato in ogni suo dettaglio. Jazz ed elettronica, da sempre i due elementi fondamentali per la musica del complesso, fungono ormai da meri pretesti per lo sviluppo di composizioni che intendono piuttosto riportare alla luce la civiltà progressiva dei Settanta, riletta attraverso l’ottica ‘post’ degli ultimi due decenni. La fascinazione verso quel tipo di lessico musicale c’è sempre stata, ma oggi il nonetto scandinavo punta tutto su questa sorta di scavo archeologico e ridimensiona fortemente le componenti nu – jazz ed electro che in passato lambivano spesso l’easy listening da night club.
“One-Armed Bandit” ripercorre quindi i momenti che hanno visto l’affermazione del prog e della fusion, soffermandosi in particolare sul lascito del secondo Zappa, quello del periodo compreso fra “Uncle Meat” e “Grand Wazoo”, intento ad esplorare tutte le potenzialità della musica strumentale. La title – track paga un fortissimo debito verso il Maestro americano: le tastiere a mo di clavicembalo, le progressioni di jazz orchestrale, le variazioni e i cambi di tempo provengono direttamente da composizioni quali “Son Of Mr. Green Genes” e “Peaches En Regalia”. Il lascito di Frank appare evidente anche in altri brani, come “Prognissenkongen” e “Music! Dance! Drama!”: in questi ultimi due casi, però, il piglio ‘freak’ dell’originale scompare quasi del tutto, lasciando spazio a quello più misurato e scientifico dei Tortoise e del post – rock in generale. D’altronde traslare l’iconoclastia di quarant’anni fa nel calligrafismo moderno è uno degli scopi che il disco si prefigge. Sotto questa luce possono esser letti anche altri due fra i migliori episodi del disco: la fusion psichedelica e pacificata di “Banafleur Overalt” e l’incontro fra minimalismo americano (rappresentato dalle tastiere) e tardo romanticismo europeo (rappresentato dalla sezione fiati) di “Toccata”.
In ogni caso, al di là dei singoli brani, l’opera nella sua interezza appare come una specie di colonna sonora in grado di toccare un’ampia gamma di immagini in note, e dimostra la grande preparazione dei Jaga Jazzist, che hanno saputo sviluppare il proprio stile in modo ingegnoso.
Tornando a Frank Zappa, e citando la frase contenuta nel libretto del suo “Hot Rats”, “One-Armed Bandit” è “un film per le vostre orecchie”. E si tratta davvero di un bel film.
Stefano Masnaghetti