http://www.elvenking.net/
http://www.afm-records.de/
Di sicuro gli Elvenking ci hanno abituato spesso e volentieri a cambiamenti anche repentini. Nel corso della loro ormai decennale carriera hanno alternato episodi più violenti ad altri più sfumati ed acustici, indurendo o alleggerendo il loro power metal a seconda del mood espressivo più indicato per l’occasione. Quella che comunque non è mai venuta a mancare in nessuno dei lavori pubblicati è stata la preminente influenza folk, esaltata soprattutto dal frequente uso del violino. Con “Red Silent Tides”, però, le cose sono cambiate.
Ora il folk è un’influenza fra le tante, e al suo posto emerge con prepotenza una vena melodica che si esprime soprattutto attraverso un hard rock di chiara derivazione Eighties, quasi ‘radiofonico’. Così, le parti affidate al violino diminuiscono nettamente, venendo spesso relegate in secondo piano; allo stesso modo si diradano anche gli episodi veloci e più propriamente power, sostituiti da frequentissimi mid tempo; non vi è più traccia di scream o growl, un tempo anch’essi ingredienti del suono Elvenking. Quello che i friulani suonano oggi assomiglia molto a una commistione di power metal e hard rock melodico, solo punteggiata qua e là da coloriture folk metal. Il vecchio volto del gruppo s’intravede nei ritmi di danza di “The Cabal”, negli arpeggi acustici di “Runereader”, nella galoppata power/folk di “Your Heroes Are Dead”, nel violino che torna protagonista nell’incipit di “The Play Of The Leaves”; altrove è la ricerca del brano in classico stile melodic rock a farla da padrone: “The Last Hour” potrebbe essere un pezzo scritto ‘a quattro mani’ da Bon Jovi e Europe, coda simil prog a parte, “Possession” è una ballad vicinissima all’AOR, “Those Days” lascia addirittura trasparire suggestioni power pop.
Personalmente la svolta rappresentata da “Red Silent Tides” non mi convince. Non mi sembra che gli Elvenking siano molto a loro agio in questo tentativo di ‘rilettura’ del rock classico; non apprezzo il parziale distacco dalle radici folk, che costituivano un tratto distintivo della band; infine, continuo a ritenere la voce di Damanagoras inadatta a questo tipo di musica. “Red Silent Tides” ha comunque tutta l’aria di essere un classico disco di passaggio, e in questo senso è doveroso notare la sua ottima produzione e il coraggio che il sestetto dimostra nel pubblicare un’opera che potrebbe far storcere il naso a più di uno dei suoi fan. In breve, si tratta di una scommessa: sarà il tempo a stabilire se vincente o perdente.
Stefano Masnaghetti