[Progressive Rock] Frost* – Experiments In Mass Appeal (2008)
Experiments In Mass Appeal – Welcome To Nowhere – Pocket Sun – Saline – Dear Dead Days – Falling Down – You / I – Toys – Wonderland
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Etichetta discografica
Strano percorso quello compiuto dal compositore e produttore inglese Jem Godfrey: già noto per aver lavorato e scritto canzoni per gruppi di pop da classifica (tra i quali le Atomic Kitten), quattro anni fa l’artista decide di aprire una nuova fase della sua carriera, buttandosi a capofitto nel mondo del neo progressive, e formando i Frost* (credo che l’asterisco serva a evitare confusioni con l’omonimo gruppo black), reclutando per l’occasione musicisti del calibro di John Mitchell (chitarrista, già con Arena e Kino), John Jowitt (bassista, membro degli storici IQ e anch’esso presente nelle fila degli Arena per qualche disco) e Andy Edwards (batterista, noto per i suoi trascorsi con Robert Plant e ora in forza negli IQ). Così nel 2006 vede la luce “Milliontown”, pregevole album di debutto, che già faceva presagire i possibili sviluppi del loro suono.
“Experiments In Mass Appeal” sviluppa le intuizioni presenti nel sopraccitato, riuscendo addirittura a far meglio: la lunghezza dei brani diminuisce, ma aumenta la coesione interna degli stessi, oltre all’equilibrio tra soffice melodia ed asprezze metalliche. Merito anche del nuovo cantante, Declan Burke, dotato di una buona estensione vocale, che lascia maggior tempo a Jem per concentrarsi sulle sue tastiere, strumento nel quale eccelle come pochi altri.
Il pregio maggiore del disco è la sua capacità d’emanciparsi da parecchio progressive rock contemporaneo, tutto intento ad emulare piattamente i maestri del genere, facendo uso smodato di mellotron, mini – moog e di tutto l’armamentario vintage disponibile. Al contrario, nel nuovo lavoro dei Frost* non c’è traccia di tutto questo: certo, alcune suggestioni sono evidenti (Yes e Genesis in primis, specie per quanto riguarda i dialoghi fra tastiere e chitarre), ma vengono rilette attraverso un taglio moderno, che permea l’intero album. Lo stesso discorso vale anche quando i suoni si appesantiscono e le strutture ritmiche si complicano: in questi frangenti i referenti principali si potrebbero indicare nei Fates Warning e negli onnipresenti Dream Theater, però Jem e compagni dimostrano tutto il loro valore nel saper rifuggire da imitazioni troppo scontate e palesi.
Numerosi brani confermano la volontà, neppure troppo nascosta, di espandere i confini del progressive e di confrontarsi con la contemporaneità. “Dear Dead Days”, in questo senso, è il più sfacciato nel coniugare sonorità elettroniche, arabeschi tastieristici, chitarre distorte e spunti acustici; la title – track mostra una perfetta coabitazione di melodia e durezza, affiancando passaggi pianistici ad esplosioni metalliche; “Welcome To Nowhere” tradisce alcuni spunti mutuati dal complesso di LaBrie (melodia vocale innanzitutto), ma i Frost* mantengono i loro tratti distintivi; “Pocket Sun”, pirotecnica negli arrangiamenti di tastiera e fratturata nella ritmica, è la più aggressiva del lotto, seguita immediatamente dalla più romantica e quieta, “Saline”, con tanto di sezione d’archi; “Toys” è vivace e briosa, e proprio per questo spicca notevolmente in un’opera che vive di un mood generale piuttosto cupo e malinconico. Citati gli episodi salienti, rimane da segnalare la mancanza della suite conclusiva (nessun brano supera gli otto minuti di durata), vera ossessione di molti appassionati che ritengono la buona musica morta ormai nel lontano 1975: anche questo chiarisce gli intenti modernisti della band e il loro rigetto di un passato divenuto ormai troppo ingombrante e idolatrato troppo acriticamente.
Un’opera notevole, sicuramente degna di figurare nel prestigioso catalogo Insideout, che conferma i Frost* quali credibili rappresentanti di una nuova corrente musicale, forse in grado di rivitalizzare la scena prog, ormai in piena crisi creativa e, spesso, Dream Theater dipendente. Peccato manchi il classico pezzo vincente, quello in grado di stamparsi nella memoria e di far decollare un disco, commercialmente parlando. Quello che è in grado di offrire “Experiments In Mass Appeal” è “solo” del progressive rock personale, professionale, originale e innovativo. Sono comunque ottime basi per il futuro, e non è detto che con il prossimo disco non arrivi davvero la notorietà presso un pubblico più vasto.
Stefano Masnaghetti