Little Lucid Moments – Year Zero (A Damage Report) – She Left On The Sun Ship – The Alchemyst
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A inizio carriera, i Motorpsycho divennero famosi per la loro irruenza, per la disinvoltura nel far coesistere in un unico album (e spesso in un unico brano) deliri acid rock, melodie folk, scorie hardcore, opacità grunge e molto altro ancora. Grazie a questo coraggio, che a volte tendeva a sfiorare l’incoscienza, presero forma capolavori quali “Demon Box” e “Timothy’s Monster”, dopodichè il gruppo iniziò ad esagerare, incidendo e pubblicando tutto ciò che passava per la testa a Saether e soci. Ovviamente la qualità artistica ne risentì, e tra alti e bassi si giunse al 2006 e al deludente doppio “Black Hole / Black Canvas”, troppo eterogeneo, scontato e frammentario per poter convincere i fan dei Norvegesi. Probabilmente i Motorpsycho stessi capirono che le cose stavano precipitando, e che per il proseguimento della loro carriera si rendeva necessaria una maggiore sobrietà stilistica e compositiva.
Ecco quindi prendere forma “Little Lucid Moments”, disco in cui i Nostri abbandonano ogni ritegno e costruiscono quattro mini – suite di progressive rock da manuale. In ogni caso, da qualsiasi parte la si guardi, la mossa si rivela vincente per molti motivi, tra i quali il principale è quello di esser riusciti a imbrigliare la loro creatività disordinata in composizioni più chiare e lineari rispetto al passato. Questo è un grande merito, e denota l’intelligenza dei musicisti in questione: poche band, al venir meno della freschezza degli esordi, capiscono che solo un ferreo rigore, una maggior cura dei dettagli può salvarle dal declino. “Little Lucid Moments” è tutto questo: nel disco non mancano certo i consueti momenti psichedelici, insieme ad alcuni sprazzi rumoristi, a lunghe cavalcate strumentali figlie del post rock (e in questo caso, i Motorpsycho si dimostrano migliori di molti presunti maestri), ad un gusto per la melodia tipicamente pop. Tutti ingredienti che però vengono fagocitati e assimilati in un flusso sonoro ben organizzato, che ricorda da vicino le opere dei mostri sacri del prog anni Settanta. A dare un tocco di vitalità in più ci pensa il nuovo batterista, Kenneth Kapstad, davvero bravo nelle dinamiche, capace di passare in un solo brano, “The Alchemyst”, dal tocco soffuso alla devastazione delle pelli nel finale della canzone.
Non resta che ribadire la superiorità di questa nuova emissione discografica degli Scandinavi rispetto alle loro recenti prove in studio: “Little Lucid Moments” è un album bellissimo, in grado di avvicinarsi ai loro vecchi capolavori (sebbene non di eguagliarli). Oltre a questo, fa ottimamente sperare per il futuro del complesso. Bentornati!
S.M.