Far Cry – Armor And Sword – Workin’ Them Angels – The Larger Bowl – Spindrift – The Main Monkey Business – The Way The Wind Blows – Hope – Faithless – Bravest Face – Good News First – Malignant Narcissism – We Hold On
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Che i Rush possano fare un album brutto o senza senso è un’eventualità da scartare a priori; tante volte, però, il senso non è facile da trovare. La nuova opera del trio canadese è lunga e complessa; buttarcisi dentro a capofitto potrebbe rivelarsi un pasto indigesto, creerebbe addirittura l’impressione di ascoltare un disco ripetitivo e moscio. Forse l’approccio più adatto sarebbe cercare di assimilare ogni singola traccia, proprio come è stato composto l’album: ogni pezzo completato dall’inizio alla fine prima di passare al successivo.
‘Serpenti e Frecce’ presenta, arricchito da una delle produzioni più mostruose mai sentite, 13 pezzi pieni di misticismo, filosofia e, a spesso, malinconia. Assolutamente spiazzante per chi si era rifatto le orecchie con il precedente ‘Vapor Trails’ (2001), decisamente più graffiante e rock. Il più vistoso legame col passato recente è dato dall’opener ‘Far Cry’: uno tra gli episodi più vitali del disco, con una struttura varia ma scorrevole e un’accoppiata bridge più ritornello davvero notevoli.
Considerato il disco nella sua totalità, però, la prima cosa che salta alle orecchie è la leggerezza delle chitarre: il buon Lifeson a questo giro ha prediletto chitarre classiche, acustiche, distorsioni leggere…quindi raffinato, sempre presente ma con grande discrezione e poca aggressività. L’elettricità insomma non è protagonista se non in pochi episodi, con questo nuovo amore per l’unplugged sottolineato dalla breve strumentale ‘Hope’. Certamente è proprio da brividi l’uso dinamico e fluido di chitarre classiche e distorte, arricchite da fill dal sound prog sognante nel pezzo ‘Armor And Sword’: la classe non è acqua. Molto più ruggenti il basso di Lee e la batteria di Peart, vere forze motrici dell’album, che hanno l’occasione di divertirsi alla grande nella strumentale ‘Malignant Narcissim’.
Grande fonte di ispirazione deve essere stata l’esperienza dell’EP di cover ‘Feedback’ (2004): di sicuro la riscoperta delle loro radici musicali ha influenzato il sound di canzoni come ‘The Lager Bowl’ e ‘Workin’ Them Angels’. Per la maggior parte dell’album poi, prevale un mood di malinconica ricerca interiore, come in ‘Faithless’, e poche volte la speranza e la positività si fanno vedere (‘We Hold On’). Molto bello il viaggio mistico strumentale di ‘The Main Monkey Business’: strutturato alla grande, incalzante, elaborato eppure incredibilmente catchy grazie a melodie nel classico stile Rush, un vero gioiello.
Alla lunga è facile perdersi nella generale senso di tenerezza del disco, ma i Rush riescono comunque a piazzare ancora qualche sorpresa inaspettata, che ci fa ricordare il loro status di ‘musicisti della Madonna’. Forse troppo poche sorprese, ecco, e un senso di omogeneità e lentezza che rovina un po’ la festa. In definitiva un album non molto immediato o veloce ma che sa regalare elementi, emozioni e particolari nuovi ad ogni ascolto. Se si ha voglia di cercarli.
M.B.