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Una canzone parte in modo aggressivo con chitarre distorte e voce hardcore? Bene, tempo di qualche battuta e il ritmo così come la melodia cambierà totalmente. Viceversa, un pezzo come City Cloaked sembra destinato a spegnersi così come è cominciato, ovvero tranquillamente? Ricredetevi, la sorpresa è dietro l’angolo.
Dire che i Burst non sono originali sarebbe una vera leggerezza, e sarebbe anche limitativo. Per i poco avvezzi a sonorità così alternative e, diciamocelo, progressive, un album simile non può che lasciare disorientati: durante il primo ascolto si avrà la sensazione di essere di fronte a un immenso calderone musicale senza nessun punto di riferimento a cui “aggrapparsi” per cominciare a farsi un’idea critica di cosa si sta sentendo. La verità è che ogni canzone suona unica, perché le contaminazioni presenti sono molteplici; lascio il piacere di scoprirle una per una a voi, ma per dirne solo alcune vanno menzionati i fiati presenti su “Nineteenhundred”, così come le parti atmosferiche di “Momentum”, oppure gli intermezzi strumentali di stampo Mastodon.
Nicolò Barovier