http://www.myspace.com/motorpsychopage
http://www.stickman-records.de/
Norvegia non vuol dire solo black metal. Lo sanno bene tutti gli estimatori dei Motorpsycho, una delle band fondamentali per la rinascita dell’hard – psichedelia negli anni Novanta. Certo, anche loro hanno vissuto un periodo di sbandamento creativo verso la metà del decennio appena trascorso, ma con il grandioso omaggio al progressive rock di “Little Lucid Moments” la formazione di Trondheim ha dimostrato di sapersi risollevare. Soprattutto, di saper stupire ancora, nonostante i vent’anni di carriera e la mole impressionante di materiale pubblicato. Rispetto a molti altri ‘coetanei’, loro non smettono di crescere, essendo capaci di far progredire un sound peculiare in forme sempre nuove, ancorché memori della storia del rock. Per questo fanno già parte di quest’ultima.
“Heavy Metal Fruit”, giusto per chiarire, di heavy metal non ha nulla: probabilmente il titolo vuol semplicemente essere un omaggio ai Blue Oyster Cult, al loro disco – manifesto “Secret Treaties” e allo storico brano “ME 262” (“They hung there dependant from the sky/Like some heavy metal fruit”). In realtà l’album si mantiene in linea con la produzione recente del power – trio scandinavo, anche se muta la prospettiva rispetto alla magniloquenza prog di “Little Lucid Moments”: la lunghezza è simile (ci aggiriamo intorno all’ora di durata in entrambi i casi), ma le composizioni passano da quattro a sei, slabbrandosi in frammenti lisergici ora lievi (il pop con accompagnamento di piano di “Close Your Eyes”, quasi una ninnananna in forma di lieder postmoderno) ora confusi e orgiastici (“The Bomb – Proof Roll And Beyond”, ai confini del psych – noise, e in questo senso davvero ‘heavy’). Insomma, meno orpelli progressivi e più ricorso alla pura improvvisazione: tutta l’opera si nutre di rivoli psichedelici, che spesso sgorgano da molto lontano. “Starhammer” è hard rock Seventies intriso di blues su sfondi orchestrali, e nel mezzo del brano s’inserisce un torrenziale assolo di chitarra che paga pegno al maestro di cerimonie acide Jerry Garcia: per un momento sembra davvero di trovarsi nella Frisco di fine anni Sessanta, con i Grateful Dead impegnati a render irriconoscibile l’ennesima versione di “Dark Star”, prima di esser sospinti nel cosmo da un ricordo ‘space’ degli Hawkwind. “X – 3” inizia anch’esso come rock duro della più bell’acqua, per poi trasformarsi nella sua coda “The Getaway Special” in un numero jazz – fusion carico di fascino, grazie anche alla tromba di Mathias Eick. Non basta: c’è anche la possibilità di ascoltare un nervoso funk mutare in un riff che puzza di stoner in “W.B.A.T.”, e godere dei cangianti venti minuti di “Gulliver’s Travail Pt. I – V”, fra parti vocali à la Yes, progressioni strumentali in chiave Van Der Graaf Generator e sinfonismi che riecheggiano i Pink Floyd, tutto però riletto dalla sensibilità dei Motorpsycho, ormai unica e inconfondibile.
C’è poco altro d’aggiungere: un’abilità fuori dal comune ha portato questo complesso a metabolizzare stili antiquati con una disinvoltura e un’inventiva pazzesche, qualità che non hanno smesso d’illuminare il loro cammino. “Heavy Metal Fruit” è una delle loro migliori uscite, rapsodica, spumeggiante e rigogliosa, testimonianza di una seconda giovinezza artistica.
Stefano Masnaghetti