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Sono in molti a ritenere gli Hawkwind una band ormai alla frutta, totalmente anacronistica, che tutt’al più potrebbe interessare qualche hippie sclerotico, dai neuroni definitivamente bruciati dall’LSD e convinto di vivere ancora nei primi anni Settanta. Tuttavia le critiche rivolte all’immarcescibile Dave Brock e alla sua nuova ciurma risultano sin troppo ingenerose, soprattutto alla luce del nuovo “Blood Of The Earth”, il quale dimostra che il gruppo inventore dello space rock ha ancora qualche cartuccia da sparare.
Ultimamente gli Hawkwind hanno diradato la loro produzione da studio, tant’è vero che questo album esce a cinque anni di distanza dal precedente “Take Me To Your Leader”, altra release piuttosto interessante. Scelta oculata la loro: evidentemente hanno compreso che per realizzare opere degne della loro fama era giunto il tempo di mettere a tacere la logorrea compositiva che li aveva visti protagonisti di uscite in serie negli ultimi due decenni del secolo scorso, e che era arrivato il momento di ponderare meglio il materiale da dare alle stampe. Anche grazie a questo, “Blood Of The Earth” è un lavoro interessante, denso di atmosfere dal tipico flavour hawkwindiano, stretto fra propulsioni tipicamente rock’n’roll (verrebbe da dire proto – punk) e gigantesche dilatazioni elettroniche. Insomma, tutti i pro e i contro che hanno fatto del complesso inglese uno fra i più amati/odiati di tutti i tempi: elefantiasi sonora in formato sinfonico/spaziale (“Seahawks”, “Green Machine”), ambient – trance dai risvolti ‘mistici’ (la title – track, brano in cui, invero, è forte l’influenza dei loro ‘allievi’ Ozric Tentacles), pulsante rock psichedelico imbevuto di rumorismi ‘cosmici’ (“Wraith”, il pezzo maggiormente debitore verso i loro primi album), spezie etniche (“Inner Visions”, “Comfy Chair”, il sitar in “Prometheus”) e via elencando. L’importante è che tutti questi elementi si amalgamino bene gli uni con gli altri, e che i brani più complessi non scadano nel caos fine a se stesso, ed ecco che un buon LP dei Nostri è pronto per essere apprezzato dagli appassionati. E questo è il caso.
Rispetto ai tempi ‘classici’ “Blood Of The Earth” sfrutta maggiormente la componente elettronica, non solo per emulare il suono delle galassie, ma anche per indirizzare certi episodi verso una sorta di dance ‘psicocosmica’ molto sui generis e, ahimè, non del tutto riuscita. Ci sono anche un paio di rielaborazioni di vecchie canzoni: “Sweet Obsession”, ripescata da un vecchio album solista di Dave Brock, e la stupenda “You’d Better Believe It”, direttamente da “Hall Of The Mountain Grill” (1974); quest’ultima è comunque molto fedele all’originale, eccetto il break centrale, una sorta di trip – hop modificato in chiave acid rock, che però non convince più di tanto. Nonostante questi difetti il disco rimane molto buono, consigliato a tutti i fan della band che vide fra i suoi membri perfino Mr. Lemmy. La saga continua.
Stefano Masnaghetti