[Punk Rock] Green Day – 21st Century Breakdown

 

[Punk Rock] Green Day – 21st Century Breakdown (2009)

Act I Heroes and cons: Song of the century – 21st Century breakdown – Know your enemy – ¡Viva la Gloria! – Before the lobotomy – Christian’s inferno – Last night on earth
Act II Charlatans and saints: East Jesus nowhere – Peacemaker – Last of the american girls – Murder city – ¿Viva la Gloria? (Little girl) – Restless heart syndrome
Act III Horseshoes and and handgrenades: Horseshoes and Handgrenades – The static age – 21 Guns – American Eulogy – See The Light

http://www.greenday.com
http://www.warnermusic.it/

Cinque lunghi anni, molti dei quali passati in giro sui palchi di tutto il mondo: tanto è trascorso da quell’album, “American idiot”, che ha elevato e portato i Green Day nell’olimpo delle band che possono vantare un successo e un richiamo planetario. Merito soprattutto della loro capacità di reinventarsi sempre, senza mai fermarsi, pur facendo a volte dei passi falsi (“Warning”), o non riuscendo altre volte a replicare la grandezza di album precedenti, come è stato per “Insomniac”, che ha avuto la sola colpa di essere stato il successore di “Dookie” e di non ricalcarne troppo da vicino le ombre.

In tutto ciò però la crescita musicale è sempre stata a tutto tondo, musicalmente il punk degli esordi tende spesso a far prevalere sonorità più vicine al rock e la furia giovanile lascia spesso il passo alla ragione della maturità; anche per quanto riguarda le liriche dei brani si è assistito via via ad una crescita, fino all’impegno politico e alla ferma presa di posizione nei confronti dell’amministrazione Bush. Certo, adesso con Obama sembra esserci una ventata di fresco ottimismo, ma la situazione, in particolar modo quella sociale, rimane ancora critica. “American idiot” diventa così fondamentale per la nascita di questa nuova opera rock, non un punto di arrivo, ma un punto di partenza per raccontare ancora un pezzo di storia americana nei panni di due giovani innamorati, Christian e Gloria. C’è una teatralità nascosta nelle tracce che è difficile non notare: non solo per la divisione stessa del lavoro in tre atti, ma proprio per l’incedere ora corale e maestoso, ora intimista dei brani; per narrare la disillusione e il disagio di questo secolo, che per il momento è solo in grado di generare confusione e incertezza, con la perdita di valori che ne consegue e con insidie nascoste in ogni dove, compresa la religione che da pilastro incrollabile diventa l’ennesima possibile minaccia.

Riportando le parole degli stessi Green Day, è un disco che musicalmente non ti trasporta nel baratro della depressione, ma anzi, è gioioso e propositivo, almeno finché non leggi i testi. Ed è proprio questa la sensazione di disincanto che si avverte tra i brani pregni di quel rock che ha fatto la storia, quello degli Who, dei Queen, ma anche quello di John Lennon e dei Beatles, amatissimi da Billie Joe. Un lavoro che vive grazie alle dinamiche, agli alti e bassi, basato su irresistibili aperture melodiche e sulle esplosioni di pura grinta e adrenalina sui buoni vecchi power chord che non sono ancora stati dimenticati, insieme al buon vecchio “one, two, three, four” di scuola Ramones (che sempre siano lodati).
E per finire, la ciliegina sulla torta, ovvero la produzione affidata alle amorevoli ed esperte mani di Butch Vig, produttore di un certo Nevermind, per chiudere il quadro di un disco che ha tutte le carte in regola per bissare e superare il successo del suo predecessore.

I Green Day sono tornati, buon ventunesimo secolo a tutti.

Livio Novara

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