Dopo l’ennesimo addio di John Frusciante e la stanchezza compositiva di “Stadium Arcadium” era davvero arduo immaginare come sarebbe stato il nuovo album dei Red Hot Chili Peppers: ci saremmo ritrovati tra le mani un nuovo “One Hot Minute”, un clone degli ultimi tre full lenght o cosa? Va detto che, storicamente, i cambi di chitarrista per i Red Hot hanno sempre rappresentato momenti cruciali, caratterizzati da dischi spesso in rotta col proprio passato, ma di sicuro impatto.
Ebbene, anche “I’m With You” sarà un album in grado di dividere i fan, già a partire dalla singolare copertina. La prima cosa che salta all’orecchio è la voce di Kiedis: potente, corposa, a tratti non sembra neppure quella di una volta. La maturità e forse un po’ di studio (sono note le sue difficoltà dal vivo) hanno reso più spessa una timbrica che ora sembra poter cantare qualsiasi cosa. La seconda, invece, è che il rimpiazzo di Frusciante in pratica non si sente su gran parte dell’album e, dove si sente, pare spesso “scimmiottare” il suo predecessore. Niente di grave, sono cose che succedono quando si prende il posto di qualcuno di importante, certo è che ci si sarebbe aspettata un po’ più di personalità da un nuovo membro di una delle band più importanti al mondo. Della timidezza di Klinghoffer, però ne ha tratto vantaggio la sezione ritmica, con un Flea che spesso da il via ai brani e un Chad Smith cui la permanenza “tamarra” nei Chickenfoot pare aver ridato entusiasmo.
I brani sono buoni, a volte molto buoni, ma solo il tempo dirà quanto. “One Hot Minute”, quando uscì, non venne accettato benissimo, per poi essere rivalutato (eccome) col tempo. L’opener “Monarchy Of Roses” spiazzerà per il suo intro e per il cantato di Kiedis, ma entrerà subito nelle orecchie, alcune ballad ricordano troppo quelle da “Scar Tissue” in poi, ma pezzi come “Look Around”, “Police Station” o “Even You Brutus?” non venivano composti da tanto tempo. Un album non da un solo ascolto.
Luca Garrò