[Rock] David Gilmour – On an island (2006)

Castellorizon – On an Island – The Blue – Take a breath – Red sky at night – This Heaven – Then I close my eyes – Smile – A pocketful of stone – Where we start

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L’ultimo album solista di Gilmour, “About face”, risaliva al lontano 1984 ed è facile comprendere quale fosse lo stato d’animo dei suoi fan all’annuncio dell’uscita di “On an Island”. Un’attesa lunga più di vent’anni durante i quali però David non è rimasto con le mani in mano collezionando oltre al lavoro con i PInk Floyd una lunga serie di collaborazioni sia come musicista che come produttore fino alla pubblicazione nel un paio di anni fa del dvd “David Gilmour in concert”. Quello di David, 60 anni compiuti proprio il giorno dell’uscita del disco, è un album affascinante, avvolgente da ascoltare e riascoltare per scoprire ogni volta un suono, un dettaglio un segreto nascosto tra le note e le parole delle dieci tracce che lo compongono. Il disco si apre sui suoni evanescenti di “Castellorizon”, il ricordo di una serata tra amici su un’isola della Grecia,  dove trova subito spazio l’inconfondibile suono della chitarra di David che nella sua disarmante limpidezza pennella assoli che fanno sognare. Si prosegue con “On an Island” scritta, come quasi tutti i brani contenuti nell’album,insieme a Polly Samson, moglie di David. La title track, scelta anche come singolo di lancio per l’album, può contare su un’eccezionale serie di collaborazioni: sbirciando tra le pagine del libretto scopriamo infatti che i cori sono eseguiti niente meno che da David Crosby e Graham Nash mentre Richard Wright all’organo farà venire la pelle d’oca ai nostalgici dei Pink Floyd che potranno contare anche sulla presenza di due vecchie conoscenze: Guy Pratt al basso e il meno noto Rado Bob Klose alla chitarra (uno che suonava con Syd Barret già nel 1964 tanto per intenderci). La scaletta prosegue quasi senza soluzione di continuità con un altro brano dalle sonorità dilatate “The Blue” prima di un brusco cambio di direzione con “Take a breath” dalla ritmica decisamente più intensa e dalle sonorità più spigolose, un po’ di rock anche in questo disco che fino ad ora ci aveva coccolato. Le note tornano ad allungarsi con “Red sky at night” brano solo strumentale che vede David cimentarsi, direi con risultati davvero brillanti, al sassofono. Una nuova folata di ritmo arriva dall’intrigante “This Heaven” per passare poi ai suoni eterei di “Then I Close My Eyes” brano strumentale che vede la partecipazione di Robert Wyatt. La scaletta si conclude con “Smile”, una sorta di ninna nanna dove ci si può lasciare cullare dalla voce di David, “A pocketful of stones”, brano dalle tonalità più cupe e con il pianoforte in grande evidenza ad accompagnare la voce, e infine “Where we start”, canzone dai toni riflessivi e venata di un misto di tristezza e dolcezza. Un album davvero intenso quello scritto e suonato dall’ex Pink Floyd che a tratti fa tornare alla mente le sonorità di “The division bell”. Dieci canzoni intense che avvolgono l’ascoltatore rivelandosi a poco a poco, ascolto dopo ascolto. Un lavoro davvero all’altezza del nome di David Gilmour che ancora una volta riesce a tirare fuori dalla sua chitarra quei suoni di incredibile purezza e semplicità che solo lui riesce a produrre.

AL.M.

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