[Rock] Pain Of Salvation – Road Salt One (2010)


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Mi piace cambiare opinione. Adoro quando un artista dato per finito torna a stupirmi con un imprevedibile, impossibile, inaspettato colpo di coda.

Riassumendo, i Pain Of Salvation erano il nuovo che avanzava, erano il gruppo che avrebbe spiegato ai metallari il significato più profondo della parola ‘progressive’. Poi, complici un disco troppo complesso (Be), uno non del tutto a fuoco (Scarsick), un EP disastroso (Linoleum) e la fuga di alcuni più che validi componenti, le cose hanno iniziato ad andare diversamente e da loro non ci si aspettava più niente.

Poi l’imponderabile.

La band di Eskilstuna torna alle radici, quelle del rock, a cavallo fra gli anni 60 e 70, quando la ribellione era avvolta di fumo, sangue e blues. E lo fa con un disco low – fi, mandando in vacca in un colpo solo tutte le masturbazioni sull’estetica progressive, sulla pulizia formale, sulla raffinatezza. Riscoprono il sapore di sangue, le unghie sporche di terra, il sudore e la polvere. Tornano a fare quello che solo i grandi artisti possono: stupire e regalarci un disco magnifico che trasuda emozioni da ogni nota.

A tratti i Nostri sembrano essere letteralmente posseduti dai fantasmi di Janis Joplin o di Hendrix (No Way, She Likes To Hide), come a voler ribadire che il rock dev’essere rivoluzione, sempre e comunque. Ma non finisce qui, dietro a questo disco si può sentire il passo pesante di Tom Waits (Sleeping Under The Stars), l’odore del Mississipi (Of Dust), le intuizioni dei Led Zeppelin più sperimentali (Sisters), il sorriso sornione di Robert Johnson (Tell Me You Don’t Know) e tanto altro. Molto altro, perché “Road Salt One” non è un tributo e non è nemmeno una banale passeggiata dentro le impronte dei giganti. Con “Road Salt One” i Paint Of Salvation non rinunciano a se stessi, semplicemente applicano il rasoio di Occam alla loro musica, eliminando il superfluo per riportare alla luce quel ‘non so che’ da sempre alla base del loro sound.

“Road Salt One” altro non è che un ridurre tutto all’osso per recuperare l’origine, l’anima, la fiamma primitiva e riappropriarsi di se stessi. Serve coraggio per scrivere un disco così, serve coraggio per liberarsi della sovrastruttura. I Pain Of Salvation ce l’hanno fatta, sta a voi avere il fegato di seguirli.

Take me home.

Stefano Di Noi

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