[Rock/Blues/Jazz/…] Tom Waits – Glitter And Doom Live (2009)
CD 1: Lucinda/Ain’t Goin Down – Singapore – Get Behind The Mule – Fannin Street – Dirt In The Ground – Such A Scream – Live Circus – Goin’ Out West – Falling Down – The Part You Throw Away – Trampled Rose – Metropolitan Glide – I’ll Shoot The Moon – Green Grass – Make It Rain – Story – Lucky Day
CD 2: Tom Tales
Tom Waits non solo è ormai assurto al rango di classico nella storia della musica pop e rock, ma è anche stato in grado di superare tutti gli steccati di genere e d’imporsi come uno dei più grandi musicisti del dopoguerra; la sua arte non ha molto da invidiare, in termini di profondità di ricerca e di complessità sonora, a quella di molti cosiddetti compositori colti contemporanei. Fra i grandi geni irregolari americani del Novecento, il cantautore di Pomona è dietro solo a Frank Zappa e Captain Beefheart: le classifiche in ambito artistico sono sempre risibili e spesso stupide, ma mi servo di questa per dare l’idea della statura del personaggio in questione.
Molto è stato scritto sulla sua poetica degli sconfitti e degli afflitti che si celano nelle pieghe del sogno americano. Ancora poco, però, è stato detto su di lui dal punto di vista prettamente musicale. L’abilità con la quale è passato dal jazz – blues notturno e ubriaco dei primi dischi all’avanguardia e alla sperimentazione di due capolavori come “Swordfishtrombones” e “Rain Dogs” era e rimane sbalorditiva. Conficcare schegge di rumorismo atonale, di trovarobato strumentale, di dissonanze e dissociazioni puntillistiche, di Cage e di Partch nella viva carne della musica popolare degli States, e farlo con estrema facilità e mantenendo una grandissima riconoscibilità di cifra è roba da fuoriclasse. E Tom lo è, in tutto e per tutto.
Questo live è un’ulteriore dimostrazione di quanto sopra riportato. Forse il migliore dell’intera carriera, coglie l’artista in uno dei momenti di massima forma, ossia quello del tour americano ed europeo dell’anno scorso. Le sue doti affabulatorie sono ormai note e celebrate in ogni dove, e il secondo cd, “Tom Tales”, intrattiene i fan più esigenti con i racconti stralunati e rapsodici del Nostro: si va dai problemi di alimentazione degli avvoltoi ai confini del Texas agli insetti (una delle sue ultime fissazioni) e ai loro diritti di voto, senza dimenticare le strane e discutibili leggi in vigore in alcuni stati dell’Unione e al motivo per cui gli spettatori presenti ai suoi show possono dirsi comunque dei vincenti. Tutto molto divertente e narrato con la solita maestria, ma da lui ce l’aspettavamo.
Non ci aspettavamo (almeno, non fino a questo punto) che a sessant’anni Waits potesse esibirsi in maniera tanto superba. La voce rimane incredibile (letteralmente: non è credibile che un essere umano come noi possa passare dal crooning romantico al latrato orchesco così come se nulla fosse; non prima di aver ascoltato un suo disco), la passione è quella di un ventenne, unita però alla sensibilità di qualcuno che pare abbia vissuto qualche centinaio d’anni, e la musica rappresenta una saggia mediazione fra quella alcolica e sgualcita degli esordi e l’astrattismo terreno dei dischi degli anni Ottanta e Novanta: la versione di “Singapore”, uno dei non moltissimi classici presenti in scaletta, sintetizza tutto questo. Per il resto si dà perlopiù nuovo lustro a creazioni più recenti e meno celebri, setacciando gli ultimi dischi (in particolare, da “Bone Machine” in poi). Fra torridi blues rock (Goin’ Out West), folk suburbani (Fannin Street), down home blues disarticolati (Get Behind The Mule), jazz lunari e malinconici (Dirt In The Ground), soul paradossali (Falling Down), notturni d’autore (Green Grass), ballad realmente commoventi (Lucky Day) e pazzeschi funk in odore di new wave (Such A Scream) l’ennesima opera imprescindibile di una discografia incomparabile è servita. A stonare rispetto all’altissima qualità complessiva c’è, forse, l’assolo di sax in “I’ll Shoot The Moon”, un po’ meccanico e legnoso: un’inezia comunque, quando tutto il resto è meraviglioso.
Per il Guardian Tom Waits è “the greatest entertainer on Planet Heart”; al di là dell’ovvia forzatura giornalistica, più lo ascolto più non me la sento di dar torto all’opinione del quotidiano britannico.
Stefano Masnaghetti