Se in “Valtari” (2012), i Sigur Rós avevano scelto di rallentare completamente i loro ritmi realizzando una pubblicazione che per sonorità poteva essere paragonata ai loro lavori ambient del decennio precedente, nel nuovo lavoro discografico “Kveikur” prendono un’altra direzione, dando un forte scossone al loro modo di fare musica.
“Kveikur” rappresenta il seguito di “Valtari”, ma si tratta di una nuova pagina che si distingue per uno stile musicale innovativo, con continui rimandi al genere pop rock. Il settimo full-length del gruppo islandese raccoglie 9 tracce e si caratterizza principalmente per la presenza di un sound cupo e inquietante, seppur affascinante. Come sempre è difficile individuare un tema portante, anche a causa del solito hopelandic, il linguaggio inventato ed esente da messaggi che la band utilizza costantemente. Nel caso di “Rafstraumur” le atmosfere ci ricordano i fasti di “Hoppipolla”, il rock è ammorbidito pur mantenendo intatta la sua aura di mistero. Un attacco dolce che prosegue in un crescendo, sporcato dagli scatti improvvisi delle percussioni. Inaspettatamente la sottile voce del cantante si prefigura come una flebile ninna nanna rockeggiante ma con fare incerto, quasi a non voler turbare. Il singolo conclusivo “Var” presenta sonorità nostalgiche che rimandano al lavoro del 2002, con un bellissimo inizio di pianoforte che avvolge, in modo da rimanere in primo piano come in passato.
Voleva essere un disco di svolta per la band e l’obiettivo è stato quasi raggiunto. Da una parte si verifica una sorprendente innovazione attraverso l’inserimento di nuovi suoni, dall’altra sono presenti una serie di canzoni standard che non dimostrano nulla di nuovo. Senza dubbio un album che si lascia ascoltare e tra luci e ombre si pone come il vero album rock degli islandesi.
Sara Mangiapelo
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