A volte, poterli ucciderli sul nascere…Forse siamo ancora in tempo. Forse è troppo tardi.
Quattro ragazzini di Chicago (media sui 20 anni) arrivano già al secondo disco, pescando a mani basse dal brit rock e cercando di fare impazzire le ragazzine con una voce filtrata sognante che più irritante non si può. Senza ispirazione, con una carrellata del peggio che indie e garage possono offrire…il tutto mescolato in una produzione pop super-easy. Forse, vista la loro giovane età, gli Smith Westerns sono dei geni del male: come il bimbo che fa la marachella e la scampa grazie agli occhioni dolci, i nostri nascondono dietro ciuffoni beat e beata innocenza un piano per diventare i prossimi rubacuori scalaclassifica. Ma in fondo, anche Paul McCartney si annoierebbe a sentire la loro formula moltiplicata e stra-abusata in ogni singolo pezzo: l’assolino melodico, la voce monotona, i na na na…
Concentrarsi attraverso il marasma sonoro per cercare di cogliere quello che cantano non migliora le cose: i testi mielosi vanno di pari passo con la musica e pretendono di avere una sorta di ’umorismo’ abbastanza desolante (dovrebbero nascondere genialità “Imagine pt.3” e “All Die Young”?). I Panic At The Disco a confronto sono i nuovi Beatles.
Marco Brambilla