I The Cult tornano col terzo disco in dieci anni, forti di una ritrovata tranquillità nei rapporti tra le menti Ian Astbury (voce) e Billy Duffy (chitarra). Ormai perennemente on the road, i due si concedono ogni tanto un disco di inediti per dare nuova linfa alla loro musica ed evitare di sopravvivere a colpi di vecchi classici. Come già successo con “Born Into This” (2007), il disco è formalmente perfetto…però…però boh, non ingrana a dovere. I suoni sono ottimi (Bob Rock in regia), i loro classici riffetti ci sono, come pure i rimandi alla cultura pellerossa e alla natura, al misticismo dominante…i loro marchi di fabbrica insomma.
Il guaio è che non c’è niente di davvero magico; è stato fatto già tutto e meglio negli anni ‘80. Il che è un po’ un peccato perché, tra tutte le star degli anni ’80, Ian e Billy sono quelli invecchiati decisamente meglio: fisicamente danno ancora la biada ad un sacco di ragazzini, Ian ha ancora la sua voce inconfondibile e Billy non ha perso il tocco. Senza stare a scomodare il periodo dark e post punk degli esordi, qua si prova a replicare il loro hard rock a là “Love Removal Machine” o “Fire Woman”, oppure le ballad come “Edie (Ciao Baby)” o “Heart Of Soul”, ma senza centrare sempre il bersaglio. Un peccato quindi, perché la sezione ritmica con John Tempesta e Chris Wyse fa il suo dovere alla grande, ci sono momenti esaltanti come “The Wolf” e il suo attacco 100% The Cult, l’hard rock a tinte psichedeliche di “Elemental Light”, il basso sferragliante e le chitarre orientaleggianti di “Amnesia”.
Troppe volte però si ascoltano pezzi ben costruiti ma che non lasciano nulla. In definitiva, oro colato per i fans della band ma non abbastanza convincente per tutti gli altri.
Marco Brambilla
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