I Doormen, da Ravenna, sono uno di quei gruppi che al primo ascolto potrebbero far gridare al miracolo: un suono compatto, oscuro, con chiari richiami wave, pochi fronzoli e tanta voglia di tirare al massimo. Le influenze più avvertibili, fin dalle prime note, sono innanzitutto quella degli Interpol, ma anche il Nick Cave del primo periodo (“Goodnight”) e i Cure, per un certo modo di cantare enfatizzando le pronunce che ricorda il vecchio Robert Smith.
Al secondo, attento, ascolto, l’impalcatura inizia a farsi fragile: l’influenza degli Interpol diventa una mano di vernice pesante che copre le intuizioni buone di cui sono fatti molti pezzi. “Here Comes That Bitch”, ad esempio, esagera nei toni fino a diventare macchiettistica, così come “You Can’t Stop Me”: peccato per entrambe, perché di idee, anche qui, ce ne sono parecchie. Bene invece “Now I’m Here”, impreziosita da una bella coda strumentale che sfiora il confine col post-rock, e anche la già citata “Goodnight”, il cui andamento percussivo risulta un piacevole cambiamento di atmosfera rispetto al resto.
‘Atmosfera’ è la parola chiave, per capire questo disco sia nei suoi pregi che nei suoi difetti: è infatti chiaro che la forza d’impatto e le doti ci sono, ma sono sepolte sotto il tentativo, troppo marcato, di ricreare un’atmosfera precisa e quanto mai difficile da sintetizzare, per un gruppo alle prime armi. Il vecchio discorso del citare e farsi ispirare dai maestri, che però non devono, poi, schiacciarci col loro peso, ma servire da punto di partenza.
Francesca Stella Riva