I The Kills, assieme ai White Stripes, sono stati gli esponenti più convincenti del neo – garage minimalista sorto negli anni Zero, distinguendosi dalla band di Jack e Meg White per la presenza del basso e qualche scampolo di wave in più presente nel loro songbook. Anche se il successo commerciale per il duo formato dall’americana Alison Mosshart e dal britannico Jamie Hince non è stato clamoroso quanto quello dei loro cugini, sono comunque riusciti a farsi largo nel mondo del music biz grazie a una ‘coolness’ che ha imposto il loro nome non solo fra il pubblico, ma anche fra la cerchia dei critici più modaioli, quelli che magari manco sanno chi sono gli Oblivians o i Lords Of Altamont.
Chiusa la parentesi, torniamo sul pezzo. “Blood Pressures” è il quarto album per i Nostri, ed esce a tre anni di distanza dal precedente “Midnight Boom” (2008), così come questo era stato pubblicato passati tre anni dall’uscita di “No Wow” (2005). Una continuità che la dice lunga su quanto VV (Alison) e Hotel (Jamie) tengano al loro progetto, nonostante la prima abbia guadagnato unanime plauso con gli splendidi due album a nome Dead Weather (insieme a Jack White, guarda caso…) e il secondo sia ancora impegnato, pare, in una love story con Kate Moss; a occhio, una bella fatica anche questa. Tuttavia il nuovo disco non è affatto debole né è stato registrato così, tanto per far numero. È invece un buon lavoro che mostra, almeno parzialmente, un volto tenuto finora celato dal complesso, ovvero una certa vena melodica mai così presente in passato.
Se la prima parte dell’opera lascia sfilare brani dal tipico stile minimale, urticante e affilato (ma l’apripista “Future Starts Low” già incorpora cantabilità inconsuete), come il blues sghembo e Waitsiano di “Satellite” e l’attacco quasi post – punk di “Heart Is A Beating Drum”, con il trascorrere delle tracce si arriva ad episodi dal romanticismo per loro inedito: la mini ballad “Wild Charms” è soffice come una piuma e “The Last Goodbye”, cantata con trasporto dalla Mosshart, sfodera nientemeno che pianoforte e archi in quello che potrebbe essere uno struggente addio alla Joni Mitchell. Certo, c’è ancora spazio per garage blues paludosi e striscianti quali “Damned If She Do” e “Nail In My Coffin”, in cui sono chiare le reminiscenze dell’esperienza Dead Weather, ma l’intento complessivo dei The Kills è chiaro: affrancarsi definitivamente da qualsiasi nicchia e raggiungere la classicità rock, avendo come numi tutelari i ‘soliti sospetti’: Rolling Stones, Bob Dylan, Led Zeppelin, etc.
Detto questo, la secchezza del loro sound è ancora inconfondibile marchio di fabbrica, ma la coppia sta studiando parecchio per espandere il proprio universo musicale alla ricerca di nuovi territori ‘vergini’. Per ora con “Blood Pressures” il viaggio è iniziato bene, probabilmente fra tre anni ne vedremo gli ulteriori sviluppi.
Stefano Masnaghetti