The Raveonettes Observator

The Raveonettes Observator

Talvolta le cose vanno fatte di fretta. Basta sentirle. A volte ti prendi tutto il tempo che occorre, passi anni (vedi gli Strokes) a pensare, provare e riprogettare qualcosa di cui andar fieri. A volte cinque anni non bastano (pensate ancora agli Strokes), altre volte 12 mesi vanno più che bene. E’ questo il caso dei Raveonettes, noise-pop band che solo l’anno scorso rilasciò l’ottimo “Raven In The Grave, e che quest’anno ci fa dono del loro ormai sesto LP – rilasciato in occasione dei dieci anni del duo danese, e chiamato “Observator”. Cosa ci vogliano dire Sune Rose Wagner e Sharin Foo in questo nuovo lavoro è presto detto, basta soffermarsi sul titolo.

Sono nove “osservazioni”, prodotto del soggiorno di Wagner in quel di Venice Beach, in cerca d’ispirazione per del nuovo materiale. Qui si trovò a parlare con varie persone nei pub, nei ristoranti, giù nelle strade della cittadina californiana. Lo affascinarono molto alcune storie, esistenze più affini al tragico, al limite. Proprio da queste trasse ispirazione per delle nuove canzoni, si fece filtro di queste esperienze come artista-osservatore, e portò insieme alla Foo negli studi del Sunset Sound Recorders (“dove i The Doors registrarono le loro migliori canzoni” secondo lo stesso Wagner) il prodotto di ciò, passato al setaccio della loro musica. “Observator” finisce per essere un album quieto, molto di più dei precedenti, che accantona a tratti lo spirito noise tipico del gruppo. Una scelta che però non deprezza il lavoro generale del duo, anzi, ne esalta quel lato intimo e solitario, da sempre intravedibile sotto la coltre di echi, delay e distorsioni rombanti. E’ così che nascono canzoni come “Young and Cold”, algida apripista semi-acustica che penetra nell’orecchio dell’ascoltatore senza sforzo già al primo ascolto; “The Enemy”, brano eighties che rivendica il fascino del duo per quegli anni, siglato da una stupenda prova vocale della Foo; il cupo manifesto “Observations”, quieto e contemplativo, dove il pianoforte domina incontrastato la scena; o ancora “She Owns The Streets”, forse il più bel pezzo del disco, nel quale la voce di Wagner (come spesso accade in questo lavoro, dominante rispetto a quella di Sharin) ci parla di una punk di strada che conobbe durante il suo soggiorno. Ma c’è ancora spazio in un album del genere per quell’attitudine dei Raveonettes più prettamente rock, ed è così possibile trovare anche in questo disco l’ossessiva ripetitività (e orecchiabilità) di “Downtown”, pezzo surf rock per eccellenza, e le atmosfere post-punk revival alla Editors e White Lies nel brano “Sinking With The Sun”.

Non c’è neanche bisogno di tirare le somme, lo fanno già da sé. Quando un lavoro è sentito, raramente si sbaglia, e di sicuro questo non è il caso dei Raveonettes. A presto.

Andrea Suverato

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