The Used, Imaginary Enemy

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“Imaginary Enemy”, il sesto album in studio dei The Used, è il primo della loro carriera a nascere da un processo creativo ribaltato, con la musica interamente composta per sorreggere le tracce vocali, registrate in un primo step.

Bisogna dare atto a Bert McCracken e soci di essere riusciti a mandare in tilt chiunque abbia cercato di etichettarli. Soprattutto con la recente discografia, da “Artwork” a “Vulnerable”, i The Used sono stati in grado di toccare un range di generi musicali abbastanza ampio da permettergli di ottenere credibilità su più fronti, e questo, per una band nata con il pesante stampo Emo, è già di per sé una notevole vittoria. Poi però ci si accorge che questa maturità creativa, unita alla pretesa sperimentale, crea in diversi punti nevralgici della tracklist delle confuse aspettative. Il brano che esemplifica meglio di ogni altro questa problematica potrebbe essere “Force Without Violence”, in cui con lo scorrere dei secondi è umanamente lecito aspettarsi un cambio di registro, un energico breakdown, o quanto meno un crescendo degnamente pilotato. Ma non arriva niente di tutto questo. Così dall’imprevedibilità si passa allo spaesamento, che giunti alla fine dell’undicesima traccia prende definitivamente casa nelle orecchie dell’ascoltatore. Solo dopo numerosi repeat è possibile inquadrare in maniera leggermente più coerente il risultato complessivo.
L’alternative rock del disco è corrotto da una massiccia dose di manipolazioni sonore (un po’ di auto-tune poi?) e di synth talvolta fuori posto, anche se non mancano riff aggressivi (“Revolution”) e vocals più audaci rispetto al repertorio medio del frontman. I testi rappresentano invece una vera sfida per chi è costretto a dare un giudizio: da un lato si tratta di un salto di qualità nella complessità di scrittura, con topics certamente più rilevanti che in passato, ma allo stesso tempo l’atterraggio dei The Used nell’insidioso territorio delle tematiche politiche è un’arma a doppio taglio difficile da maneggiare.

Significativi e apprezzabili slanci, immersi in non pochi evidenti difetti. L’ultimo dei quali potrebbe giungere nel confronto con la resa live. In tal senso gli scenari possibili possono essere due: il primo vede la band riprodurre dal vivo i brani esattamente come da disco, con l’ausilio di suoni campionati che difficilmente possono passare inosservati; il secondo lascia ai musicisti la libertà di divincolarsi dal complicato lavoro di produzione che riveste l’LP, proponendo un pacchetto scevro da ogni inutile orpello che potrebbe dare scacco matto alle versioni in studio. Ma in entrambi i casi si tratterebbe di una piccola sconfitta per “Imaginary Enemy”.

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