Due battute sotto banco, un’idea buttata lì. Una canzone che ti ispiri un nome. Da lì poi le prove, le bozze, una idea ben precisa di cosa si vuole fare. Potrebbe essere la storia di milioni, ma questa è quella dei Walrus: quintetto livornese che ha preso vita nel lontano 2005, raggiungendo però l’assetto definitivo solo tre anni più tardi, con l’arrivo di Marta Bardi (ex Scisma) come seconda voce, che si alterna alla linea vocale del cantante e chitarrista Giorgio Mannucci, e come tastierista. I restanti membri del gruppo sono Francesco Pellegrini alla chitarra, Dario Solazzi al basso e Alessio Carnemolla alla batteria e alle tastiere.
Il loro disco d’esordio, Never Leave Behind Feeling Always Like A Child, svela sin dal nome la tendenza anglofila della band: gran parte delle loro influenze sono di provenienza britannica e statunitense, dall’indie rock anni ’90 alla Pavement al britpop di inizio 2000. Ora è giunto il momento per i Walrus di tornare sulle scene col secondo album di studio, Hanno ucciso un robot. In questa nuova fatica la band si cimenta nel cantato in italiano, via mai sperimentata prima. Il risultato è un approccio alla canzone che risulta sempre più melodico, spesso pop, in virtù anche della notevole varietà canora conferita dalle due ottime voci soliste. Ma questo sembra essere proprio l’obiettivo perseguito dalla band toscana, che inanella una discreta sequenza di motivetti orecchiabili, dalla cantilenante Così diverso (frecciatina a chi fa il bell’alternativo), alla esistenzialista Dai con la vita.
Ben in vista l’influenza dei Pavement negli arrangiamenti e nella leggerezza complessiva dei pezzi, come in Signorina delirio e Ma Hollywood non imparerà mai, mentre spetta alla robotica Non puoi fare finta il titolo di canzone più pestata e aggressiva. Si sente invece forte l’eco dei Baustelle in Sogno e in Macchina volante, pezzo davvero coinvolgente che rappresenta il miglior risultato raggiunto dalla band in questo disco, merito anche di un ritornello davvero pop che qui non è una parolaccia, ma un semplice dato di fatto: semplicemente, entra in testa. In definitiva, un buon lavoro per i Walrus: lavoro che farà senz’altro storcere un po’ il naso a chi si aspetta dello sperimentalismo, ma che per coloro in cerca di melodie catching di cui innamorarsi in fretta, è l’ideale.
Andrea Suverato
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