Travis Barker – Give The Drummer Some

Nessuna drum machine, nemmeno la più spaziale e tecnologica, potrà mai sostituire un vero batterista che suona una vera batteria. Ce lo dimostra il “drummer” più zarro e tatuato del momento, Travis Barker, che dopo la fama conosciuta con i Blink 182 si è dato alla pazza gioia instaurando contatti e collaborando con un numero indicibile di artisti hip-hop, rappers e djs. Con “Give The Drummer Some“, Barker offre un ottimo esempio di come due generi così diversi come l’hip hop/rap e il rock possano incontrarsi, con risultati assolutamente ottimi.

Tralasciando l’esagerata tamarritudine di Lil Wayne e The Game in “Can a Drummer Get Some”, brano d’apertura, troviamo connubi perfetti di rock e hip hop in brani come “Carry It”, in cui la vecchia scuola di RZA e Raekwon incontra la leggenda Tom Morello, che fa saltare i denti con i suoi riff di chitarra; così come “Saturday Night”, brano latineggiante in cui Barker accompagna una delle chitarre più famose del rock, Slash. Unico nell’album è l’intervento di Corey Taylor, cantante degli Slipknot, in “On My Own”, in cui Barker dimostra che la sua vena rock non si ferma al punk dei Blink, anzi. A dir poco magistrale il lavoro dei Cypress Hill, che per un momento eclissano tutto il resto della combriccola con “Beat Goes On”. La new school hip hop è rappresentata da individui come Lupe Fiasco e Kid Cudi, accompagnati da altri interessanti personaggi come il sempreverde Snoop Dogg e l’energumeno Busta Rhymes. La ciliegina sulla torta la mette Steve Aoki, produttore di remix più che azzeccati e avanguardista del punk moderno, in “Misfits”, brano di chiusura del disco.

A questo punto si potrebbe pensare che Barker abbia affidato la buona riuscita del suo primo album solista alla fama e alle capacità dei pezzi grossi che in esso presenziano. Sbagliato. Oltre a essere l’esecutore reale delle basi e dei beats di tutti i brani, Travis Barker si è messo dietro al mixer come produttore, dimostrando capacità che vanno ben oltre alla sua già (largamente) dimostrata destrezza coi tamburi. La scelta dei suoni è sempre e comunque oculata, non ci sono piatti o rullanti fuori posto, tutto suona come deve suonare, tanto che viene da chiedersi se sia realmente opera di un “tocco” umano o piuttosto di una drum machine. Fortunatamente, in questo caso è vera la prima ipotesi.

Con un prodotto così, possiamo anche chiudere un occhio sulla componente zarra che contraddistingue il buon vecchio Travis, con le sue Cadillac e la combinazione occhiali da sole – New Era.

Gregorio Setti

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