Per essere precisi ed anche un po’ pignoli questo è un disco uscito, in versione “Where Did The Night Fall”, nel maggio 2010, quindi sarebbe assurdo recensirlo ora se non per il fatto che nella versione “Another Night Out”, ovvero nel secondo dei due CD presenti, siano contenuti pezzi fino ad ora usciti solo su due precedenti EP, più rarità ed alcuni inediti. L’idea di accompagnare questa versione con un doppio booklet (rispettivamente uno di sedici e l’altro di trentadue pagine, contenente alcuni scatti inediti del photo-shoot originale) sembra quasi una sorta di riconoscimento al fan che acquista il disco, che, a dirla tutta, ha lasciato e lascia tutti un po’ perplessi.
Dal 1994 i britannici UNKLE, al secolo James Lavelle e Pablo Clements, hanno dovuto confrontarsi con l’immensa popolarità dei Chemical Brothers, i quali avevano cominciato a far circolare il loro nome già dal 1991. Dal trip-hop degli esordi, comunque, l’evoluzione musicale ha portato il sound della band ad una definizione verso l’elettronica più classica; pezzi da atmosfera come “Natural Selection”, “Country Tune” e “Falling Stars” si alternano alle più movimentate “Money And Run”, con Nick Cave, e “When The Lights Go Out/We Own The Night”, in cui si sentono comunque numerose contaminazioni sonore appartenenti soprattutto allo shoegaze ed alle più ampie e classiche atmosfere rock.
Diciamocela tutta, anche a costo di passare per snob; questo lavoro non ha nulla a che vedere con “Psyence Fiction”, disco d’esordio del 1998, a partire dai nomi che gli UNKLE avevano scelto per le collaborazioni; se sul doppio “Where Did The Night Fall – Another Night Out” possiamo trovare nomi di spicco nel già citato Nick Cave e nei The Black Angels, all’esordio l’ormai duo si avvaleva nelle collaborazioni di gente del calibro di Kool G Rap, Alice Temple, Richard Ashcroft, Badly Drown Boy, Thom Yorke e Ian Brown, leader degli Stone Roses.
Inutile quindi viaggiare sull’onda di paragoni, perché purtroppo in questo caso si conferma la regola (molto sfruttata all’interno del mondo ‘indie’) secondo cui l’album di debutto è sempre meglio di tutta un’intera discografia. Bisognerebbe invece provare a isolare ciò che c’è di buono e goderselo; in questo caso, oltre alle ottime produzioni, perché va detto che gli UNKLE non sbagliano una nota che compone un beat praticamente dal 1994, c’è anche la continua voglia di rinnovarsi dopo ben diciassette anni di carriera,supportata dal coraggioso tentativo di ospitare artisti in rampa di lancio anziché già affermati.
Apprezzabile, sicuramente, ma magari sul prossimo disco un Ashcroft o uno Yorke, così, se proprio non trovate nessun altro, carissimi UNKLE, chiamatelo!
Federico Croci