Gli U’Papun (uomo nero in vernacolo barese) iniziano a farsi conoscere solo adesso, grazie soprattutto al video di “L’Appapparenza”, in cui è presente nientemeno che Caparezza in veste di guest star. In realtà il progetto, sorta di simbiosi fra musica e teatro (nella line – up è infatti incluso anche l’attore Francesco Tatone), è attivo già da molti anni, e fra gli episodi di “Fiori Innocenti”, loro debutto, ce ne sono molti che non hanno nulla da invidiare al singolo sopracitato, anzi gli sono addirittura superiori.
Difficile descrivere la loro musica e il loro mondo. Il gruppo non ha davvero voglia di fermarsi di fronte a barriere precostituite, anzi si lancia in una galoppata polistilistica che abbraccia rock, folk, pop, cantautorato, influssi jazz, world music e che più ne ha più ne metta. Complimenti per le idee e per il coraggio (d’altronde, con quel singolo non avrebbero potuto tradirsi). La loro grandezza – e quello che potrebbe rivelarsi il loro limite – è insita nella loro natura barocca. La ricchezza degli arrangiamenti e la cura dei particolari stupisce sin dal primo ascolto, e per risultare più autentica nelle parti etniche la band ha pure deciso di suonare strumenti, appunto, autentici, quali dilruba e liuto arabo.
In “Fiori Innocenti” c’è davvero di tutto: le atmosfere arabe squarciate dal rock in “Inutile Alchimia”, l’esplosiva miscela fra jazz, blues e aromi mediterranei in “La Sposa in Nero”, che chiude con un crescendo elettrico lancinante, il De Andrè al cianuro di “L’Odore delle Rose Selvatiche”, echi di Capossela in “La Danza degli Insoddisfatti”, il progressive di “La Nèbbie” e della strumentale “L’Uomo Nero”, il cantautorato acustico di “Uomo Qualunque” e il raga rock sghembo di “Fiori Innocenti”, tocchi di new – wave e di pop virato fusion in “Maledettissimi Soldi”, etc. Alfredo Colella, voce di U’Papun, è uno strano ibrido fra la dolcezza di De Andrè e l’invettiva di Carmelo Bene, ed è anche grazie a lui che i testi, intelligenti e mai scontati (cfr. in particolare “La Sposa in Nero” e “Uomo Qualunque”), prendono forma e spessore, si fanno aspri ed icastici. Dovessi azzardare un paragone, direi che i pugliesi sono una versione moderna e più orientata al cantautorato dei purtroppo quasi dimenticati Osanna, grande complesso partenopeo del primo prog italiano, in grado anch’esso di dare una dimensione teatrale alla propria musica, e di fondere folklore autoctono e rock internazionale.
Se il disco mantenesse il livello dei primi sei pezzi, sarebbe un capolavoro. Purtroppo verso la fine scema un po’ d’intensità, ma questo non impedisce a “Fiori Innocenti” di inserirsi fra i migliori album italiani del 2011. Benarrivati.
Stefano Masnaghetti