Era pomeriggio tardi, mi stavo affannando per preparare un sugo di pesce e una torta salata da portare ad una cena ma qualcosa m’impediva di fare quello che dovevo fare, mi portava i pensieri altrove, cercava di rifasarmi le onde cerebrali, mi disturbava, se devo dirla tutta. Erano i Ved. Venuti dalla Svezia per incasinarmi un ragguardevole venerdì sera. Li spacciano per un gruppo dance. E forse ci si può ballare sul serio su questa roba. Se sei un dervisho rotante strafatto, s’intende. Perché la musica dei Ved è questo che fa: ti scombina la sincronia del cervello, ti manda in risonanza i neuroni, ti porta altrove a patto che tu sia pronto, rilassato e ricettivo. E lo fanno con una sorta di rock leggero e a tratti cinematografico, intinto di folk medioerientale, psichedelico senza essere lisergico e per nulla progressivo (non nel senso comune del termine, almeno). I Ved fanno della ripetizione, dell’ossessività il loro punto forte, melodie che si avvitano in loop fino ad entrarti nel profondo (si ascolti “Sture External“, se non ci credete) e a modularti le frequenze delle sinapsi, più che LSD si tratta di ipnosi, insomma.
Impossibile concentrarsi su qualcosa che non rientri nel mood dei brani, impossibile resistere, impossibile uscirne. L’unica possibilità è la resa incondizionata. Lasciarsi trasportare dalla corrente come unica via di fuga. Sottomettersi al flusso, tuffarcisi e scoprire tutti gli strati della loro musica. Non so dire se questo disco sia un capolavoro del genere perché quando finisce di girare nel lettore mi accorgo di non sapere più un sacco di cose. Di sicuro non può lasciare indifferenti. E questo è di certo sinonimo, per lo meno, di ottimo lavoro. Questo lo so per certo. Complimenti.
Stefano Di Noi
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