Un altro anno è volato. Dodici mesi intensissimi anche dal punto di vista delle uscite discografiche, che in un periodo di morte apparente (soprattutto del rock, metal e affini) ha riportato un minimo di speranza negli aficionados delle care vecchie chitarre e dei suoni distorti. A dirla tutta, chi segue la Heavy Countdown dai primordi, sa bene che nell’underground di fermento ogni anno ce n’è sempre parecchio. E anche il 2019, per fortuna, non ha fatto eccezione, regalandoci appunto piccole perle inedite, ritorni clamorosi, conferme più che gradite. Come da buona tradizione, non possiamo fare a meno di stilare una classifica con il best of di quest’anno in via di conclusione. Venti dischi che hanno lasciato una traccia dalla loro pubblicazione ad oggi (in rigoroso ordine alfabetico), un compendio per chi continua a non accontentarsi dei soliti ascolti. Ecco il meglio della Heavy Countdown.
Alcest – Spiritual Instinct
Che gli Alcest fossero una realtà solida e riconosciuta globalmente è una verità da parecchio tempo ormai, ma con “Spiritual Instinct” Neige e Winterhalter danno prova della loro squisita tecnica, a cavallo tra istinto e ragione, tra black metal e shoegaze.
As I Lay Dying – Shaped By Fire
Un comeback album che è riuscito a reggere alle aspettative, confermandosi, anche a qualche mese di distanza dall’uscita, il disco metalcore dell’anno. La redenzione di Tim Lambesis non poteva avere una colonna sonora migliore, a sottolineare quanto il ritrovato equilibrio personale possa rispecchiarsi nella musica.
Astronoid – Astronoid
Svanito l’effetto sorpresa di “Air”, gli Astronoid con il loro secondo omonimo full-length puntano a consolidare gli elementi di forza del proprio innovativo sound, accantonando (in parte) i blast beat e concentrandosi sulle atmosfere e sulle emozioni.
Badflower – Ok, I’m Sick
Nel mare magnum dell’alternative questi ragazzi di Los Angeles sono riusciti ad emergere e a farsi notare pure in Italia (complici anche i loro live incendiari). Una proposta a metà strada tra Royal Blood e My Chemical Romance, arricchita da testi capaci di arrivare al cuore di chiunque e una grinta invidiabile: ecco gli ingredienti del successo dei Badflower.
Cattle Decapitation – Death Atlas
Pubblicato da pochissimo, “Death Atlas” non poteva sfuggire al nostro radar, memori soprattutto di quel capolavoro che è stato “The Anthropocene Extinction”. Misantropia e malignità death/grind senza fine, accompagnate a un irresistibile e improbabile gusto per la melodia.
Counterparts – Nothing Left To Love
Un’altra piacevole conferma quella dei Counterparts, band post-hardcore che aveva dimostrato il proprio valore già con il precedente “You’re Not You Anymore”, e che con “Nothing Left To Love” confeziona un prodotto genuino e ricercato, tanto da accaparrarsi finalmente un posto nella Billboard Top 100.
Cult of Luna – A Dawn To Fear
Il 2019 è stato un anno magico per il post-metal. Tra i nomi che maggiormente si sono distinti nel genere, non possiamo non citare i Cult of Luna e il loro suggestivo “A Dawn To Fear”, coronamento perfetto di una carriera ventennale.
Fever 333 – Strength In Numb333rs
Band come i Fever 333 sono una ventata di aria fresca, una luce piena di speranza in fondo al tunnel del rock moderno. Pur non inventando nulla di nuovo, Jason Aalon Butler e soci rispolverano il rapcore rendendolo (ancora una volta) la colonna sonora delle lotte di classe. E portandolo in giro per il mondo con performance hardcore old school.
I Prevail – Trauma
La trasformazione degli I Prevail è giunta infine al suo compimento. Dopo un passato da emuli degli A Day To Remember, la giovane formazione statunitense cala tutti gli assi possibili e immaginabili in “Trauma”, tra melodie killer e fascinazioni rap. Tanto che ai prossimi Grammy Awards saranno in gara sia nella categoria Best Rock Album che Best Metal Performance.
Leprous – Pitfalls
Che la strada dopo il recente “Malina” fosse del tutto spianata per i Leprous era più che evidente. Metteteci poi la crisi esistenziale del vocalist Einar Solberg, che si traduce in una performance catartica mozzafiato. Ma “Pitfalls”, come se non bastasse, è anche una riuscita soluzione di sinfonie moderne in strutture progressive più classiche.
Lingua Ignota – Caligula
Kristin Hayter si è fatta portavoce di tutte le creature (non solo e necessariamente donne) vittime di abusi fisici e psicologici. Con le sue perfomance al limite dell’autolesionismo, l’artista ha dato una forma tangibile all’orrore e alla disperazione di “Caligula”, un disco che come da previsioni, si è confermato tra i più pesanti del 2019.
Moon Tooth – Crux
Progressive metal, metalcore, fusion e infusioni blues convivono d’amore e d’accordo nel secondo full-length dei Moon Tooth, confluendo in una scarica di energia magicamente accessibile nonostante la miriade di sfaccettature.
Periphery – Periphery IV: Hail Stan
Lo avevamo definito poco dopo l’uscita “uno dei dischi più significativi della nuova generazione progressive metal” e non possiamo far altro che sottoscrivere ancora una volta il nostro pensiero. Tra devastazioni heavy e divagazioni pop, “Hail Stan” vale ogni singolo secondo di running time, senza eccezioni.
Russian Circles – Blood Year
Mi sono sbilanciata allora, e lo faccio anche adesso: “Blood Year” è il disco strumentale dell’anno. I veterani Russian Circles firmano un lavoro che è il compendio perfetto di tutte le sonorità post- (metal, rock, anche hardcore se vogliamo) contemporanee.
Sleep Token – Sundowning
L’album di esordio dei misteriosi Sleep Token ha un unico, grandissimo difetto: dopo la sua pubblicazione, i giovedì sera sono più vuoti senza i pezzi centellinati da “Sundowning”. Ma ciò non ci impedisce di continuare ad apprezzare il genio dei nuovi alfieri del crossover moderno, chiunque essi siano.
Slipknot – We Are Not Your Kind
Dopo la prova non del tutto convincente di “.5: The Gray Chapter”, stava solo agi Slipknot stessi dimostrare di essere ancora rilevanti. Nonostante episodi non proprio felici abbiano preceduto e accompagnato la pubblicazione di “We Are Not Your Kind”, il sesto album dei Nostri è tra i migliori che le menti di Taylor e compagni abbiano mai concepito.
Thornhill – The Dark Pool
Di band nuove là fuori ce ne sono un botto, di band brave pure, ma le band in grado di infondere un tocco personale a ciò che altri hanno creato sono estremamente rare da reperire. I Thornhill sono tra queste, e il loro debutto prova con efficacia che di posti liberi nell’olimpo metalcore attuale ce ne sono ancora, per chi è in grado di meritarseli.
Tool – Fear Inoculum
Anche i sassi hanno parlato del nuovo disco dei Tool, il primo dopo 13 lunghissimi anni di attesa. E alla fine, “Fear Inoculum” è valso ogni anno di silenzio, e soprattutto ha fatto fermare il mondo intero per 90 minuti, quello stesso mondo ormai schiavo dell’ascolto distratto da playlist.
Torche – Admission
Avreste mai pensato che sludge e stoner potessero essere catchy? Scommetto di no, almeno fino a quando i Torche non hanno pubblicato “Admission”, un lavoro che ancora oggi risulta fresco e coinvolgente come il primo giorno in cui l’abbiamo ascoltato.
White Ward – Love Exchange Failure
Un disco per chi non ama ragionare per compartimenti stagni. I White Ward ci avevano già stupito un paio di anni fa con “Futility Report”, ma è impossibile non includere nel nostro best of anche il nuovo full-length di una delle band post-black metal più originali in circolazione.