Le 20 migliori scoperte della Heavy Countdown

15 giugno 2016. Il giorno del mio 31esimo compleanno, viene pubblicata la prima puntata della Heavy Countdown, una rubrica nata con l’intento di dare spazio a tutti quei dischi metal ed underground per i quali, per una ragione o per un’altra, non si riusciva a dedicare recensioni singole.

Non è un caso che la prima HC sia stata pubblicata il 15 giugno. O se lo è stato, si tratta della più assurda e splendida delle coincidenze, un regalo e un onere che con il passare del tempo, dopo una prima collaborazione a quattro (anzi sei, se contiamo anche il fu Paolo Sisa) mani, è andato a piazzarsi sulle mie spalle in tutto il suo peso e la sua responsabilità (termine altisonante, ma in questo caso, del tutto giustificato).

Oltre a questo ideale passaggio di consegne, negli anni la Heavy Countdown ha cambiato pelle diverse volte, passando da semplice “raccoglitore” a playlist studiata nei minimi dettagli, nelle quali comparivano sì i grandi nomi, ma anche e soprattutto quelle realtà underground che difficilmente trovano spazio in Italia. Dal djent al progressive rock, passando per il blackgaze e tutte le derivazioni post-, fino ai cari vecchi metalcore e al deathcore.

La scorsa settimana, sono arrivata alla puntata numero 100 della HC. Non è un’esagerazione affermare che ci sono dentro tre anni della mia vita e che sia stata una delle esperienze più totalizzanti e formative di sempre, per quanto mi riguarda. Discorsi filosofici a parte, dopo 823 dischi recensiti, è arrivato il momento di tirare le somme e celebrare questo traguardo con, ovviamente, una bella playlist. Le 20 migliori scoperte delle Heavy Countdown, anche se sarebbero molto di più, e anche se scegliere “solo” questi pezzi sia stato doloroso come chiedere a un genitore quale sia il suo figlio preferito. Una playlist in cui non troverete colossi come Slipknot, Rammstein o Korn, e neanche Tesseract, Periphery, Contortionist o Deafheaven, ma i piccoli grandi nomi che il tempo mi ha consegnato intatti, così come il giorno in cui li ho scoperti (sotto al lettore trovate pezzo per pezzo la spiegazione di ogni singola scelta). E mentre la storia della Heavy Countdown proseguirà ancora a lungo, fermiamoci un attimo per un tuffo nel passato.

Empire – Hands and Tongue
Qualche EP, qualche pezzo sparso, e finalmente nel 2018 un full-length. A cui, purtroppo, è seguito l’annuncio dello scioglimento definitivo della formazione. Ma gli Empire hanno scritto brani che sopravvivono all’esistenza della band stessa, un mix perfetto tra post hardcore, alternative, pop-punk vitaminizzato e modern rock, tenuti insieme dalla voce assurda di Joe Green.

Car Bomb – Secrets Within
I Car Bomb sono tra le realtà più in vista degli ultimi anni. Lo hanno dimostrato con “Meta” (e con i loro precedenti album) e continuano a farlo ancora oggi, con il loro mathcore schizzato. Trovatene di gente che suona come loro.

Crystal Lake – Black and Blue
Attivi dal 2002, ma divenuti enormi anche al di fuori del Giappone con l’arrivo in line-up dell’ottimo vocalist Ryo, i Crystal Lake e le loro suggestioni pop ed elettroniche sono di quanto di più irresistibile si possa trovare nel mondo metalcore e dintorni ai giorni nostri.

Sleep Token – Thread the Needle
Degli Sleep Token ne ho scritto abbondantemente nel corso degli anni (soprattutto qui), e posso vantarmi di essere stata tra i primi in Italia ad aver parlato di questo misterioso collettivo, il cui primo full-length, “Sundowning”, uscirà il prossimo novembre. Che sia la volta buona in cui scopriremo l’identità di Vessel? Poco conta, il loro crossover tra djent, hip-hop ed elettronica è una ventata d’aria fresca nel panorama stantio della musica di oggi.

Zeal & Ardor – Devil Is Fine
Dopo il fulminante debutto con “Devil Is Fine”nel 2017, Manuel Gagneux di strada ne ha fatta parecchia. Un altro album nel 2018, tour in tutto il mondo e uno stuolo sempre più nutrito di seguaci della sua innovativa miscela tra black metal, gospel e soul.

Our Hollow, Our Home – Throne To the Wolves
Con questi ragazzi il melodic metalcore ha assunto un nuovo sapore, malinconico ma al tempo stesso contagioso e terribilmente catchy. Gli Our Hollow, Our Home ci mettono il cuore nella loro proposta, e anche le tragedie più terribili (la morte del padre del chitarrista Tobias Young) riescono a trovare catarsi e sollievo nella musica.

Loathe – It’s Yours
Mentre sale febbrilmente l’hype per il nuovo disco dei cattivissimi Loathe (in uscita nei prossimi mesi), riascoltiamoci “The Cold Sun”. Metalcore impreziosito da elementi industrial, hardcore tout court e black metal. Impossibili da perdere.

Full Of Hell – Deluminate
A pari merito con i compagni di disperazione The Body, devo ammettere di aver scelto i Full Of Hell per la meravigliosa copertina di “Trumpeting Ecstasy” (che fa il pari con il successivo “Weeping Choir”). Grind/noise di gran classe, ma occhio ad ascoltarlo se siete facili all’ansia.

White Ward – Futility Report
Che il post black metal stia vivendo un periodo fortunato è un dato di fatto. Tra i rappresentanti più autorevoli di questa corrente non posso non citare i White Ward e la loro raffinata proposta a cavallo tra black metal, lounge jazz, con un tocco di progressive (quest’ultimo presente soprattutto nel recente “Love Exchange Failure”).

Hundredth – Neurotic
Un’altra band il cui ritorno attendo con trepidazione quanto un bambino la mattina di Natale sono gli Hundredth, ex formazione hardcore ormai votata alle atmosfere shoegaze. E “Neurotic”, singolo estratto da “Rare”, è un vero e proprio sogno ad occhi aperti per gli amanti di entrambi i generi.

Oceans Ate Alaska – Hansha
Le atmosfere orientaleggianti di “Hikari” impreziosiscono la proposta progressive metalcore degli Oceans Ate Alaska, un combo che dopo svariati cambi in line-up e diverse difficoltà, è arrivato finalmente a esprimere il suo pieno potenziale.

Counterparts – Arms Like Teeth
I Counterparts stanno per tornare dopo il fortunato “You’re Not You Anymore”, e qui non si vede l’ora di godere di nuovo del loro melodic hardore perfettamente bilanciato, venato di una traccia di malinconia che lo rende unico.

Toothgrinder – Adenium
Anche i Toothgrinder sono di ritorno con un nuovo full-length. Oltre ad essere felicissima di averci visto lungo ancora una volta, vi consiglio di indagare la discografia di questi ragazzi, in bilico costantemente “tra macello e melodia”.

Boston Manor – Halo
Nati come una di tante band pop punk, i Boston Manor decidono di punto in bianco di chiudere con il proprio passato buttandosi senza preavviso su sonorità più cupe, ruvide. Alternative, post-hardcore, post-emo e grunge, accompagnati da synth tutt’altro che rassicuranti, sono gli ingredienti vincenti di “Welcome to the Neighbourhood”, un disco che trasuda disperazione e frustrazione, ma lo fa rimanendoti in testa con i ritornelli più orecchiabili che esistano.

Hail the Sun – Lesson In Lust
Alcuni li hanno definiti (a ragion veduta) gli eredi dei Dance Gavin Dance, ma gli Hail the Sun non sono dei semplici cloni. Il loro sound spazia dal post-hardcore al progressive passando per il math rock, e poi vogliamo parlare della voce del cantante/batterista Donovan Melero?

Chapter and Verse – A Devil In Blue
Tra le scoperte migliori di inizio 2019 impossibile non citare i Chapter and Verse. È vero che fino ad oggi hanno pubblicato solo un EP, ma sono bastati cinque pezzi per far conoscere al mondo le loro potenzialità, espresse al meglio in un post-hardcore/alternative tutto da scoprire.

Astronoid – Water
Lo ammetto, per inserire gli Astronoid in questa playlist ho dovuto barare. Perché in realtà questa band l’ho scoperta al di fuori dell’Heavy Countdown nel 2016, grazie a un disco, “Air”, che mi capita di ascoltare molto volentieri ancora oggi. Ma il successivo omonimo album, se possibile, riesce nell’arduo compito di superare il predecessore con una proposta più solida, sebbene sempre originale come all’esordio.

Moon Tooth – Trust
Per chi vive di pane, SikTh e Protest The Hero, i Moon Tooth sono quanto di meglio potesse capitare negli ultimi anni. Dopo il promettente “Chromaparagon”, i Nostri cementano la propria tecnica grazie al successivo “Crux”. Una scarica di energia pura.

Siamese – Super Human
È stata dura scegliere tra le svariate band biebercore che mi piacciono, ma alla fine ho ceduto per gli insopportabilmente (in amicizia, ovvio) catchy Siamese, che con “Super Human” arrivano finalmente a un pubblico più vasto andando a scomodare anche hip hop e trap.

Russian Circles – Milano
Il meglio del meglio di tutto quanto possa essere considerato post-. I Russian Circles non saranno di primo pelo, ma con “Blood Year” danno alle stampe uno dei loro migliori dischi di sempre, e per ora, lo strumentale del 2019.