Sette anni. Questo l’arco temporale intercorso tra l’ultimo album pubblicato dai Millencolin, “Machine 15”, e questo nuovo lavoro. Edito da Epitaph Records, “True Brew” è quanto di meglio ci si potesse aspettare: non solo il tanto agognato ritorno allo stile della prima discografia è davvero avvenuto, ma qui siamo anche ai livelli di “Pennybridge Pioneers”. Con il loro capolavoro del 2000, in particolare, ha in comune quella sensazione che non si tratti propriamente di un full length. Diciamo che se facessimo ascoltare “True Brew” ad un amico che non conosce i Millencolin, non dovrebbe stupirci una risposta del tipo: «bellissima band, ora però vorrei ascoltare un album, non un greatest hits». Andateglielo a spiegare che non si tratta di un greatest hits.
Questo però non vuol dire che abbiamo per le mani solo un lotto di belle canzoni. La verità è che ogni singola traccia contenuta nel CD ha motivo di esistere e ha un senso sia all’interno della tracklist che al di fuori di essa. Al giorno d’oggi non è facile coniugare le due cose e il panorama medio, soprattutto in questo genere, è piuttosto deprimente: o il disco non sopravvive al successo dei singoli, o lo scarso successo dei singoli non permette al disco di sopravvivere.
Sin dalle prime note di “Egocentric Man” è chiaro come i Millencolin siano ripartiti dalle radici punk – non senza fare un cenno con la mano ai Bad Religion – per riforgiare la loro musica. La voce del frontman Nicola Sarcevic (che peraltro è anche il producer) regala un cantato che oscilla con estrema facilità tra l’aggressivo e il melodico. In “Autopilot Mode”, per esempio, le sue linee vocali sono più decise e rudi che mai, mentre nell’eccezionale singolo “Bring Me Home” torna a galla quella rassicurante impronta rock che rende il disco scorrevole come pochi. Se dovessimo proprio essere selettivi, se dovessimo indicare i momenti top della release, sarebbero forse “Man Of 1000 Tics” e “Wall of Doubt” i titoli designati, ma qui ogni pezzo merita l’ascolto in loop e restituisce tutte le cifre stilistiche dello skate punk revival che li ha resi un punto di riferimento negli anni ‘90.
Se dopo tutta questa attesa non fosse venuto fuori un buon lavoro, la band svedese non avrebbe avuto vita facile; soprattutto perché con l’ultimo capitolo non è stato tutto rose e fiori, anzi. E invece avete capito cos’è successo? È successo che questi ragazzoni hanno sfornato quello che quasi sicuramente si rivelerà essere il disco pop punk migliore dell’anno.