Negrita – Desert Yacht Club

Gli album dei Negrita sono sempre stati molto geografici, tracciano delle mappe, percorsi. Il viaggio è sempre al centro del soggetto e del racconto, il tema del partire e lasciare un posto per trovarne un altro. Questo vale tanto per quanto riguarda le emozioni quanto le ruote che girano in strade polverose di frontiera, quanto ancora per il percorso della vita che, si sa, non è una highway tutta dritta da percorrere con il cruise control a velocità uguale e costante, ma un setaccio di sentieri e piazze aperte, dedali ombrosi pieni di buche.

Così la musica del gruppo italiano si è nel tempo sfaccettata e divisa in mille ramificazioni atte ad abbracciare questa moltitudine di visioni attaccate alla realtà e alle sue sensazioni. Così e ancor più di sempre è l’ultimo “Desert Yacth Club”, un disco che come da consuetudine nasce alla fine di un viaggio su ruote che è specchio di un viaggio artistico e di vita. I tre Pau Drigo e Mac puntano sulla formula che oltrepassa tutte le mode del mainstream italiano e che non muore mai, quella di mettere se stessi nella musica e nelle parole, un metodo che paga sempre. Vengono fuori undici tracce che sono un racconto in movimento in cui l’ascoltatore può specchiarsi, avvicinando il volto alla superficie riflettente per vederci le sue paure, debolezze e esperienze. Gioie e dolori, in un processo catartico che ha sempre fatto le fortune della musica, soprattutto italiana.

Tanta nostalgia, ed è normale per una band che ha fatto tanti chilometri come quella dei Negrita. Così canzoni come la ballata “Non Torneranno Più” diventa una chiacchierata tra amici e sembra di vedere la provincia che ha svezzato gli ultra trentenni che può essere uguale per tutti noi, chi del nord e chi del sud. Si cita Roby Baggio e Kurt Cobain. L’inizio d’altronde è affidato a “Siamo Ancora Qua”, una sbruffonata di sapore Blaschiano ma che ha un retrogusto di amara ammissione di colpevolezza, come a confessare di non saper fare altro che raccontare in musica la vita.

Senza mai  pontificare Pau continua a volteggiare nei generi, ora rock puro, ora raggae, ora un pizzico di elettronica, sciorinando spaccati di vita e frasi motivazionali sul reggere agli urti e andare avanti, il tutto sempre confezionato in una cornice pop che addolcisce e smussa gli angoli rendendo l’album piacevole e fruibile per tutti. “Voglio stare bene in questa barca che và e non và” è di certo una descrizione semplicistica ma efficace di quello che condividiamo universalmente tutti noi esseri umani.

“La Rivoluzione è Avere 20 anni” è un pop contaminato che rincara lo sguardo a ritroso dei Negrita con una denuncia alla situazione attuale, allo spreco della gioventù persa negli schermi dei cellulari.

“Non sarà il terrorismo che ci ucciderà, ma la noia e l’edonismo” dice Pau in “Ho Scelto Te” e ormai ci siamo fatti l’idea del tono negativo, disilluso delle parole che contrasta con la solita leggerezza degli accordi pop, la solita celebrazione del Messico come ultima frontiera del mondo lontano dalle ipocrisie in “Adiòs Paranoia”. L’elettronica e l’ R&B accennato in levare di “Aspettando l’Alba” è la chiusura perfetta di un album dal tono più malinconico di quanto sia loro usuale, un’attitudine di tono rock di protesta e allarme sulla condizione sociale che si abbraccia ad una resa musicale sempre di ampissimo spettro che nonostante l’immediatezza di ascolto  mai concede ai detrattori lo spunto per gridare alla banalità e ripetizione.