Ghosteen, o come sconfiggere la Morte grazie all’Amore secondo Nick Cave

Nick Cave è uno degli ultimi messia del rock che ci sono rimasti. Li stiamo perdendo tutti uno dopo l’altro, ma abbiamo ancora gli Iggy Pop, i Tom Waits, i Neil Young. Gente che ne ha vissute tantissime, cose che riempirebbero dieci vite, che ha fatto arte per decenni e ha lavorato con i più grandi, crescendo, condividendo, lasciandosi influenzare. La loro musica non è mai qualcosa che semplicemente intrattiene o riempie i vuoti del tempo. Le loro produzioni diventano significative dal punto di vista storico, umanitario. In questo senso “Ghosteen” è un’opera che pende molto sul versante dell’arte e come tale va letta/ascoltata.

Dal punto di vista musicale i Bad Seeds e in particolare Warren Ellis creano un manto sonoro di bellezza senza scheletro, svestendosi completamente dell’ancoraggio ritmico come di un’anima del proprio corpo prima dell’ascensione al regno eterno dei cieli. E’ su questo tappeto idilliaco che si adagiano le epidermiche liriche di Nick Cave, che trasformano questo album in un’esposizione poetica dedicata alla condivisione, all’arte del lasciare andare.

Se “Skeleton Tree” era un elogio funebre adattato al dramma della perdita del figlio Arthur, “Ghosteen” è l’entità che ne sostituisce la mancanza fisica. Il figlio adolescente perduto, come suggerisce il titolo, è allegoria costantemente presente in tutte le numerosissime figure che riempiono questo affresco lucente, figure antropomorfe, animalesche, ma anche personaggi dell’immaginario comune veicolano i messaggi dell’autore.

E’ nel blog personale di Nick Cave, The Red Hand Files, che si trovano i semi e il motore di “Ghosteen”. Un blog che connette uno che è stato tra i più criptici e inarrivabili poeti del rock ai suoi fan, colmando in un colpo solo un territorio per anni inesplorato. Bastava godersi il fantastico tour di “Skeleton Tree” per vedere l’inedita esigenza di Cave di colmare questa distanza, con la sua manona che prendeva fisicamente i fan dalle prime file per portarseli al suo fianco sul palco. In The Red Hand Files (Peaky Blinders, qualcuno?) ascolta i suoi fan che uno dopo l’altro si sfogano dei loro problemi e possono godere in molti casi di una risposta diretta di Nick. Anche in prosa il cantante è eccezionale, e si potrebbero benissimo prendere ognuna di queste risposte per musicare canzoni bellissime.

Nick utilizza gli spunti umani per condividere e creare una sorta di mini società separata, un calderone dove le paure sono ridimensionate e dove i problemi sembrano meno insormontabili. E’ proprio qui che rispondendo ad un utente Nick Cave annuncia il nuovo album con dovizia di particolari, titolo e track list e pure una piccola dichiarazione di intenti suddividendo l’album in due tronconi, uno definito ‘Genitori’ e l’altro ‘Figli’. L’Amore è l’unico modo di combattere la Morte, sia esso romantico come descritto in “Into My Arms” che paterno, come in “I Need You”.

L’immagine dell’ascesa al cielo e di figure variopinte è richiamata da “Sun Forest” e dalla stramba copertina insolitamente colorata e affollata. L’importanza è vitale nel bilanciare il dramma con la speranza, come accade sin da subito in “Spinning Song”, dove si racconta un’allegoria descritta attraverso un trittico grottesco formato da Elvis, Priscilla e un uccello con un’ala sola, e che si chiude con un inno alla pace interiore, ‘Peace will come’. Quando Nick canta dell’attesa in “Bright Horses” di un treno con suo figlio sopra l’emozione è quasi insopportabile.

“Ghosteen” è un album di spessore enorme che non è facile da digerire solo tramite un ascolto. Deve essere letto e sentito, deve essere visto con gli occhi della mente. Ha un modo e un tempo ben determinato per essere ascoltato, un tipo di ascolto che difficilmente si concilierà con la vostra quotidianità. Ma lo sforzo di fermarsi e innalzarsi alle figure retoriche che ci vengono offerte è un’urgenza necessaria per capire qualcosa di più su quello che è la vita al di sopra delle nostre preoccupazioni giornaliere, quel tipo di esistenza che ignori fin che puoi ma che prima o poi si presenterà a chiedere il conto. E’ in quelle occasioni che personaggi come Nick Cave con la loro arte diventano un regalo gradito e uno strumento per navigare le acque tumultuose della vita.

L’artista ha recentemente scritto nel suo blog, dopo la pubblicazione di “Ghosteen”, riguardo alla necessità di scrivere musica: “Come autore ho preso un impegno con l’incertezza e per abbracciare quello che non conosco, perché è lì che esiste il vero significato“. Un veicolo quindi per esplorare quello che i sensi principali non ci consentono, un viaggio da Caronte verso un mondo che a noi è precluso, ma ai nostri sentimenti no. Un viaggio che noi facciamo con lui, dentro e fuori la meraviglia della musica e della poesia.