Nothing More – The Stories We Tell Ourselves
Sesta fatica in studio per i Nothing More, una band che è sempre più difficile ascrivere a una categoria specifica. Potremmo definirli alt-metal per tagliare la testa al toro, ma si rischierebbe di perdersi in un mare magnum insidioso e vischioso. Quindi basta, i Nothing More sono i Nothing More e in “The Stories We Tell Ourselves” dimostrano una volta per tutte cosa sono capaci di fare. Il tratto distintivo rimane sempre Johnny Hawkins, che ha spianato la strada a tanti “nuovi” vocalist con il suo cantato, e il sing-along praticamente costante anche se su lyrics impegnate. Easy solo di facciata, ma frutto di uno studio in cui nulla è lasciato al caso. Però sei intro sono davvero troppe.
Circa Survive – The Amulet
In una recente intervista, i Circa Survive hanno dichiarato che incidere “The Amulet” è stato terapeutico sia come individui che come band. E anch’io, dall’altra parte delle cuffie, non posso far altro che confermare. Il nuovo lavoro del quintetto seminale per un certo sound progressive-indie-rock è la rappresentazione in musica della serenità, dell’ispirazione, e della melodia sporcata di tanto in tanto da un pizzico di violenza (che i Nostri però stanno gradualmente abbandonando in favore di atmosfere più ariose e oniriche).
Counterparts – You’re Not You Anymore
Il quinto lavoro in carriera per i Counterparts è un ottimo esempio di melodic hardcore dove tutto funziona alla perfezione. Come una ricetta preparata da mani sapienti, in “You’re Not You Anymore” ogni ingrediente è dosato al milligrammo. Oltre alle più ovvie melodie e all’aggressività tipica dell’hardcore, il livello di adrenalina rimane comunque altissimo per tutta la durata dell’album, senza dimenticare che nascosto alla vista ma allo stesso tempo ingombrante, come un corso d’acqua sotterraneo, scorre un denso rivolo di malinconia che accomuna tutti i pezzi.
Caligula’s Horse – In Contact
I Caligula’s Horse sono ormai dei veterani nel panorama (sempre più affollato) del progressive metal. Ma nonostante questo, arrivati oggi al quarto lavoro in carriera, non danno segni di cedimento sfornando un’opera complessa e stratificata, che è un’esaltazione dell’arte in sé e per sé e come strumento ideale per connettere gli esseri umani. Il vocalist Jim Grey, paragonato da molti a un mix tra Daniel Tompkins dei Tesseract ed Einar Solberg dei Leprous, è tra gli highlight di un disco che sicuramente sarà ricordato tra i titoli top del genere di quest’anno.
The Minerva Conduct – The Minerva Conduct
Un bel lavoro strumentale quello dei Minerva Conduct, gruppo di musicisti a cavallo tra Stati Uniti e India più che skillati, tra i quali spicca Navene Koperweis, ex batterista degli Animals as Leaders. Inutile dire che nell’omonimo esordio dei Nostri si viaggi su livelli qualitativi altissimi, con un progressive-core cervellotico ma accessibile, dinamico e mai noioso, durante il quale può benissimo capitare di trovarsi in atmosfere eteree, e mezzo secondo dopo di mettersi a scapocciare senza sosta.
Satyricon – Deep Calleth Upon Deep
Devo ammetterlo: la copertina di “Deep Calleth Upon Deep” non mi aveva messo di buon umore. Il mio primo pensiero è stato “se la cover è questa, figuriamoci il contenuto”. Ma con mia grandissima sorpresa, nonostante i Satyricon abbiano già detto tutto quello che dovevano dire ai tempi che furono, il nuovo disco di Satyr e Frost va via che è un piacere. Il blend di black metal e doom/gothic è evidente in molti pezzi (soprattutto la opener “Midnight Serpent”) e regala all’opera un retrogusto demodé davvero sfizioso.
Chelsea Wolfe – Hiss Spun
Il sesto full-length di Chelsea Wolfe era molto atteso dopo il successo del precedente “Abyss”. Poi, siccome la signorina non ama ripetersi, le aspettative erano ancora più alte. E “Hiss Spun” le attende tutte. Distaccandosi dalle sonorità elettroniche dei precedenti lavori, la nuova fatica in studio dell’artista si lascia ipnotizzare dalle spire del doom, perfette per accompagnare la voce da spettro della Wolfe, leggera e intensa allo stesso tempo. Ovvio che non sia un disco per tutti, ma dategli una chance.
Myrkur – Mareridt
Chi disprezza compra. Viene in mente questo detto parlando di Amalie Bruun, vocalist che si cela dietro al progetto Myrkur e che in passato, “rea” di essersi lanciata in quest’avventura black metal pur avendo un background pop, ha ricevuto minacce di morte dai “trve” blackster. Perché dai, ditelo, Myrkur è la fidanzatina dei sogni del metallo satanico, una specie di Lana Del Rey con il corpsepaint (vedi “Crown”). Ma la cosa davvero assurda del secondo disco della Brunn è che convincono molto di più i pezzi violenti tanto odiati dai puristi piuttosto che le parti melodiche/folk.
Wolves in the Throne Room – Thrice Woven
“Thrice Woven”, con il suo atmospheric black metal e un lieve accenno di folk, potrebbe benissimo essere la colonna sonora di una puntata di Vikings. Tra accenni alle leggende norrene, chorus evocativi e zampillare d’acqua, i Wolves in the Throne Room dipingono a modo loro il ritratto di una natura selvaggia e spesso spietata, incapace di perdonare gli errori di noi comuni mortali. Ecco, se queste cose vi annoiano a morte, passate tranquillamente oltre.
Der Weg Einer Freiheit – Finisterre
I Der Weg Einer Freiheit rappresentano uno dei migliori esempi di black metal moderno: dalla tradizione attingono a piene mani concedendosi blastbeat micidiali e precisi e vocals al vitriolo, e dal post black traggono quella sensibilità per la melodia caratteristica appunto di questo sottogenere. Il quarto disco del combo tedesco è perciò complicato e complesso come lo stesso nome che i Nostri portano, e richiede diversi play per essere pienamente compreso e apprezzato.
Nasty – Realigion
Incredibile, un nuovo album dei Deez Nuts! Ecco cosa ho pensato appena ho messo su “Realigion”, la sesta fatica dei Nasty. Perplessità che a un certo punto, ha trovato conferma nella titletrack, in cui appare, appunto, JJ Peters dei Deez Nuts. Ma una volta superato il trauma iniziale, si nota che i Nostri hanno molto di più da offrire. Hardcore con influenze metalcore e death metal (vedi “In Defeat”), insomma la band belga picchia davvero pesante. E “Realigion” è un disco che è un vero tripudio di tamarragine.
Helpless – Debt
Il debutto degli Helpless, trio grindcore britannico, è esattamente la fionda che sembra: una violenza selvaggia e dissonante (che a tratti ricorda i colleghi Nails), solo apparentemente insensata. Aggiungeteci abbondanti incursioni nello sludge (“Weightless Prayers” e la conclusiva “Denied Sale”) e otterrete un disco che, seppure rimanendo comodo all’interno dei limiti del genere, merita almeno un ascolto. Tutto d’un fiato, ovviamente.
Fleshkiller – Awaken
Per volere di Ole Borud degli Extol, nascono i Fleshkiller, combo norvegese che gli amanti del progressive death metal devono tenere assolutamente d’occhio. Tra intrecci di sei corde, violenza e melodia, “Awaken” è un lavoro ben bilanciato (tanto che non sono in pochi ad aver definito i Fleshkiller “una versione più aggressiva dei – primi – Opeth”) e per quanto riguarda soprattutto la gestione dei clean/harshvocals, piuttosto coraggioso. Per questo merita la nostra attenzione.
Otherwise – Sleeping Lions
Prosegue l’avventura degli Otherwise, arrivati al terzo disco su Century Media (in realtà ne avevano fatti un altro paio prima di arrivarci ma fa niente) e chiamati a confermare le buone impressioni ottenute col precedente “Peace at All Costs”. Missione riuscita a metà, visto che ci sono i ganci giusti in “Nothing To Me” (uno dei loro migliori chorus di sempre) e nell’opener “Angry Heart”. Titletrack e “Weapons” dimostrano però che l’eccessiva Shinedown-izzazione inizia a mostrare la corda. Gli ultimi tre brani purtroppo rendono “Sleeping Lions” facilmente dimenticabile, causa troppi ooo-ooo-ooo e tempi eccessivamente rallentati. Occasione sprecata (p.s.).