The Heavy Countdown #66: Our Hollow, Our Home, Soulfly, All That Remains, Disturbed

Our Hollow, Our Home – In Moment / / In Memory
Sinceramente, non mi aspettavo un nuovo disco degli Our Hollow, Our Home a così poco dal bellissimo “Hartsick”. Ma l’esuberanza artistica e comunicativa di questi ragazzi evidentemente non si riesce a contenere con facilità, soprattutto in risposta a un gravissimo lutto che ha colpito il chitarrista Tobias Young. “In Moment / / In Memory” è quindi un concept album sulla perdita e sui cinque stadi del lutto, ognuno introdotto da un interludio. Un progetto molto ambizioso, che però musicalmente non si discosta di troppo dal metalcore dell’uscita precedente, pur essendo (ovvio) più cupo e rabbioso.

Gorod – Aethra
Il 2018 è stato ed è ancora un anno di ritorni in ambito technical death metal. Dai Beyond Creation ai Between the Buried and Me, tutti i grandi del genere hanno sfornato lavori degni di nota, come minimo. Mancavano giusto i Gorod, che con “Aethra” dimostrano di essere in cima alla catena alimentare del tech death. I francesi non inventano nulla di nuovo, ma prendendo spunto dai Gojira, dagli stessi BTBAM e addirittura da Mastodon e Iron Maiden riescono a dare vita a un album complesso ma al tempo stesso godibilissimo. Da ascoltare assolutamente.

Soulfly – Ritual
Max Cavalera sta passando un buon periodo. Era già evidente l’anno scorso con il più che buono “Psychosis” dei Cavalera Conspiracy, ma per chi ancora fosse ancora scettico sullo stato di salute dell’ex Sepultura, ecco che arriva “Ritual”. L’undicesimo (!!!) full-length dei Soulfly è uno dei migliori degli ultimi tempi, oltre che uno dei più pesanti in assoluto (se escludiamo la Motörhediana “Feedback!”). Sono in molti a considerarlo come un ideale ponte tra “Chaos A.D.” e “Roots”, e complici anche un paio di ospitate di livello (Randy Blythe su tutti), possiamo dire che “Ritual” è un disco che merita tutti gli ascolti che vorrete dedicargli.

All That Remains – Victim Of The New Disease
A non molto dalla tragica scomparsa del chitarrista Oli Herbert, gli All That Remains daranno alle stampe “Victim Of The New Disease” (in uscita il prossimo 9 novembre), un lavoro che la band stessa ha dichiarato essere molto pesante, ai livelli di “For We Are Many” (2010). In effetti, soprattutto se comparato al precedente (e davvero troppo melenso) “Madness”, il nono album di Philip Labonte e soci è sicuramente più heavy (“Fuck Love” e “Everything’s Wrong” la dicono lunga), se non altro per buona parte della sua durata e al netto di qualche di ballad di troppo.

Rise Of The Northstar – The Legacy of Shi
“This Is Crossover”, cantano gli stessi Rise Of the Northstar nel loro secondo, attesissimo disco. Tra hip-hop, nu metal e hardcore, i francesi sfornano un album che tiene fede alla loro fama e al percorso iniziato con “Welcame”, debutto del 2014. La produzione è al top (forse perché c’è dietro un certo Joe Duplantier?) e sono sicura che dal vivo i ROTN spaccano e divertono un bel po’, ma “The Legacy of Shi” alla lunga risulta ripetitivo e pretenzioso, con i suoi estratti in francese e pure in giapponese. Poco male, se vi piace il genere.

Disturbed – Evolution
Evoluzione, sì, ma entro alcuni confini (e limiti). I Disturbed sono sempre i soliti rumorosissimi tamarri di sempre (prendete “Are You Ready?” e ne avrete la riprova), con qualche ballad (evitabilissima) in più, e un maggiore impegno nella scrittura dei testi. David Draiman si sarà anche tolto i piercing, ma il lupo perde il pelo e non il vizio. Quindi affrontate questo disco dei Disturbed come (quasi) tutti gli altri, con il dovuto interesse ma con zero hype. Entertainment per i nostalgici di certe sonorità di qualche anno fa.

Shining – Animal
“Animal” è l’album della svolta per Jørgen Munkeby, mastermind che si cela dietro il progetto Shining. Stop al “blackjazz” (per chi non sapesse, un’originale fusione tra jazz e metal, tipica delle precedenti uscite della band), e al posto del sassofono via libera alle tastiere e a un mood super festaiolo (per la maggior parte dell’opera, almeno). A volte sembrano i Muse, altre volte Marilyn Manson, altre volte ancora i Papa Roach. Di episodi buoni ce ne sono (vedi “My Church”), ma complessivamente “Animal” è una grande confusione. E soprattutto una delusione per gli estimatori dei “vecchi” Shining.

The Rumjacks – Saints Preserve Us
Il filone celtic punk non accenna ad esaurirsi, e se non ne avete mai abbastanza di cornamuse e inni da pub, il quarto full-length dei Rumjacks è esattamente quel che fa per voi. La formazione australiana coglie l’occasione per festeggiare dieci anni di carriera con un’opera che come da tradizione, miscela appunto il celtic punk con una vena folk e reggae (nel disco compare anche un featuring di un altro inossidabile del genere, Paul McKenzie dei The Real McKenzies).

Sunset Radio – All the Colors Behind You
I Sunset Radio si sono posti l’ambizioso obiettivo di trovare con “All the Colors Behind You” l’anello di congiunzione tra il pop punk di State Champs, Neck Deep e Real Friends, e l’hardcore punk di No Use For A Name. Il secondo lavoro della band nostrana, forte di una certa esperienza live internazionale maturata negli ultimi mesi e di una line-up (quasi del tutto) nuova, in realtà riesce solo a metà nell’intento. Infatti “ATCBY” è un album molto più sbilanciato sul versante pop punk, ma diamo tempo ai ragazzi di crescere per trovare il loro equilibrio ideale.