Periphery – Periphery IV: Hail Stan
Qualcuno a proposito di “Hail Stan” ha scritto “non siete psicologicamente pronti per ciò che andrete ad ascoltare”. Appunto. Il sesto full-length dei Periphery potrebbe benissimo concludersi dopo i sedici minuti abbondanti della colossale “Reptile”, ma no, Mansoor e soci sparano cartucce devastanti (come le pesantissime “Blood Eagle” e “CHVRCH BVRNER”), per poi giocare in territorio smaccatamente pop (occhio alle performance di Sotelo in “It’s Only Smiles” e “Sentient Glow”), chiudendo infine uno dei dischi più significativi della nuova generazione progressive metal con l’ambiziosa epicità di “Satellites”.
Polar – Nova
Fa sempre piacere quando band scoperte per puro caso proseguono la propria carriera, iniziando a farsi anche un certo nome nei rispettivi circuiti. È il caso dei tatuatissimi Polar, che al quarto album in studio, sanno finalmente il fatto loro, cementando la proposta del già ottimo “No Cure No Saviour” (2016) in “Nova”, un lavoro tutto da cantare in uno screamalong pressoché continuo, sorretto da strutture metalcore e (post-)hardcore sempre più solide (prendete “Devil” ma soprattutto “Amber”).
Faminehill – Ascend
“Ascend” è l’album di debutto del quintetto ungherese dei Faminehill. Tra i modelli a cui aspirano i Nostri figurano sicuramente i Wage War, e la prova, giusto per citare l’esempio più lampante, è il singolo “Ruin”, uno degli episodi meglio riusciti del primo disco dei ragazzi, con il suo mix equilibrato tra melodia e aggressione. Che poi è niente di più ma neanche niente di meno di ciò che ci si aspetta dal metalcore contemporaneo.
The Brave – Aura
L’Australia ha partorito una vagonata di band metalcore negli ultimi anni, inclusi i The Brave. La formazione continua sulla strada del precedente “Epoch” (2016), sfornando un lavoro metalcore radiofonico e supermelodico (con tanto di ballad strappamutande, ovvero la title track) con qualche contaminazione nu-metal(core) (vedi “Technicolor”), senza neanche prendersi la briga di distinguersi dalla massa, rimanendo belli freschi nella loro comfort zone. Risultato? Un album piacevole, ma già sentito un milione di altre volte.
Sworn Enemy – Gamechanger
Ci sono voluti cinque anni perché la nuova fatica degli Sworn Enemy vedesse finalmente la luce. Tra i paladini dell’hardcore metallizzato di stampo newyorchese super politicizzato, i Nostri preferiscono rifugiarsi e trovare conforto nel passato piuttosto che saltare nel vuoto del futuro. “Gamechanger” non è nulla di innovativo come il titolo sembrerebbe promettere, ma è senza dubbio un buon disco per gli amanti delle sonorità sopracitate.